…ho 37 anni, vivo a Roma da sei anni. Sono arrivata qui spinta dal bisogno. Ho due bambini piccoli nella mia terra, li ho lasciati a mia madre e a mio marito e sono partita. Cerco di non pensare molto a loro. La mia terra è molto bella e il suo cielo è sempre limpido, ma c’erano giorni che riuscivamo ad avere solo pochissime cose da mangiare e il lavoro non c’era né per me né per mio marito.
Ho scelto di venire in Italia perché una mia amica che già lavorava qui mi ha scritto che c’era lavoro per noi donne. Sono stata in molte case a lavorare, ho imparato con fatica a parlare abbastanza bene l’italiano, ho cercato di adattarmi ad abitudini di vita diverse dalle nostre, a modi di comportarsi molto difficili da capire per noi, mi vesto in un modo diverso da prima e cerco come posso di fare al meglio il mio lavoro.
Ho lavorato come badante e ho fatto pulizie per tante ore. Ho saputo da poco che la paga che mi danno per questi lavori non sempre è la stessa di quella che viene denunciata dal mio datore di lavoro e anche che ci sono cose non proprio giuste nel mio contratto. Ma io sono contenta così, perché posso mandare alla mia mamma quasi tutti i soldi che ricevo. Adesso lei e i miei bambini mangiano tutti i giorni e possono curarsi se stanno male.
Sono contenta di stare qui, ma mi accorgo solo adesso, dopo qualche anno dal mio arrivo, che il lungo cammino che ho fatto per arrivare in questa bellissima terra italiana continua ancora ma in un altro modo: mi accorgo di camminare ancora anche se in un percorso diverso, in cerca di qualche cosa che mi manca e che vorrei raggiungere.
Vorrei sentirmi veramente anch’io cittadina di questo paese, una persona che pur portandosi dietro le tradizioni, il modo di mangiare, di divertirsi, di pregare, insomma di vita, di un paese diverso, cose che ha avuto fin dalla nascita, si sente di partecipare alla ricchezza di vita del paese dove adesso vive e lavora. Veramente vorrei contribuire insieme agli italiani a migliorare le condizioni positive e umane di questo bellissimo paese. Per questo dico che il mio cammino non è ancora finito.
Cinzia
P.S. Aggiungo una piccola cosa a queste “dichiarazioni immaginarie” di una donna immigrata. Il cammino di cui lei parla (l’esodo?), di chi viene da noi in cerca di sopravvivenza o perché scappa da regimi dittatoriali, forse si può paragonare al nostro cammino di questi tempi, di noi che siamo nati qui, in una terra ricca di civiltà e di cultura ma purtroppo ora spesso carente di umanità.
Anche noi abbiamo bisogno di camminare insieme per raggiungere una situazione umana che ci dovrebbe fare apprezzare, insieme a tante altre cose, il “dono” di umanità che portano a noi le persone straniere. E forse, insieme, usare comportamenti e sollecitare leggi che favoriscano il loro e il nostro cammino, insieme al comune progresso. Questa cosa ci farebbe tornare ad essere un popolo che legge e interpreta il tempo in cui vive. Un tempo di ricerca comune di maggiore equità.
Proprio come ha detto il Papa ieri alla CEI: “Inforchiamo occhiali capaci di cogliere e comprendere la realtà e, quindi, strade per governarla, mirando a rendere più giusta e fraterna la comunità degli uomini.”
Rachele Filippetto
Foto
Nel buio di una notte oscura nasce un bambino, nasce Gesù salvatore.
La parola si è fatta carne, debole e tremolante come la luce di una candela, debole come noi.
Le guerre e gli odi non potranno oscurarla perché la luce vince le tenebre della morte con la vita,
l’odio con l’amore, la menzogna con la verità.
Carlo Maria Martini
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