Ospedale. Tempi giornalieri vissuti al ritmo dei farmaci da assumere, delle analisi da fare, delle lastre, della visita del medico, delle medicine…

Tutto arriva mentre leggi, mentre mangi, mentre preghi.

Sei un ”paziente”. Con un numero. Qualche infermiere si ricorda che hai anche un nome. Di te interessa quasi solo la tua malattia. E così finisci a volte per crederci anche tu. Quasi diventi la tua malattia. Cominci la mattina presto i tuoi pensieri, quasi non riesci a pensare ad altro. Ti imponi un atteggiamento diverso ma quasi sempre non ci riesci. Cerchi di cambiare, di pensare alla tua vita spirituale, leggi. Ma spesso non ce la fai ad allontanare l’ospedale dal tuo cervello.

E poi ancora nell’ospedale ci sono le “competenze”. Se chiedi a un inferniere che ti fa un prelievo il piacere di raccogliere un libro che ti è caduto, non lo fa. Ti risponde: non è mia competenza. Non è che Adam Smith si è allargato un po’ troppo con le sue idee liberiste? Boh!

Ore 18. Arriva la cena! Questa è la regola.

E questa è la mia esperienza.

Rachele Filippetto

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