(Lc 11,1-13) Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”».
Ma pregare significa dire preghiere? Magari «per ottenere», come forma di pressione su Dio che finalmente concede ciò che tanto insistentemente viene richiesto? E naturalmente ciò comprende una buona dose di «istruzioni» a Dio su ciò che dovrebbe fare e quando e come concedere ciò che vogliamo da Lui. Ma questa è la preghiera del servo mendicante che vuole almeno una minima parte dei tesori del padrone e sa che può ottenerli solo con l’insistente richiesta; anzi, più ottiene favori e più è nella considerazione del padrone. Luca, in questa urgente catechesi sulla preghiera, ci sveglia dal sonno ipnotico e magico che intende la preghiera come manipolazione di Dio: e proprio in questo quadro dice con chiarezza chi siamo noi mentre preghiamo. Non è trascurabile il fatto che Gesù insegna a pregare su richiesta dei suoi, i quali lo vedono pregare - Lui, il Figlio amato! -, e rimangono affascinati dal rapporto che intravedono tra lui e Dio.
Che cosa risponde Gesù? «Pregate da figli!»: è l’unica cosa che conta. Figli che chiedono ciò che li rende sempre più figli di un tale Padre; la preghiera nasce dunque dal desiderio non tanto e non solo di compiacere il Padre, ma di scoprirsi figli amati e ricchi di gioia.
Ma com’è una preghiera da figli? Chiede ciò che il padre è già disposto a dare con tutta la gioia del suo cuore. Il Padre (che è nei cieli, aggiunge Matteo, nella forma più lunga di quella di Luca) scommette sulla libertà: vuole una preghiera da figli e non da servi mendicanti; figli che, realizzando se stessi, scoprono (e desiderano) come il Padre li ha pensati, amati, desiderati. «Sia santificato il tuo nome» è perciò una gioiosa preghiera da figli: «Non lasciare che mettiamo i bastoni tra le ruote alla tua manifestazione; fatti conoscere, o Padre; mostraci il tuo Nome (il tuo Volto, la tua santità, la Sorgente pura della Vita, la tua Gloria presente tra noi); mostraci il tuo Nome santo, o Padre, e noi splenderemo sempre più come tuoi figli. Figli degni di te, che iniziano già da oggi a poco a poco a somigliarti: sovranamente liberi (ti chiamano Padre), non calcolatori meschini (il perdono che hanno ricevuto non lo negano ai fratelli e alle sorelle), non angosciati e agitati (sanno che il pane, quello sufficiente per ogni giorno, viene da Te), ma anche (almeno per ora!) un po’ fragili e deboli, tant’è che ti chiedono protezione quando sono in tentazione, nel buio, nel dolore, nella prova». Questi sono i figli che chiedono per la loro gioia e nello stesso tempo per la gioia del Padre. Questa è la richiesta dello Spirito che il Padre non può non concedere: è qui che ogni insistenza ed ogni ripetizione sono assolutamente ammesse.
Don Donato
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Dio non si è stancato di noi.
Accogliamo la Quaresima come il tempo forte in cui la sua Parola ci viene nuovamente rivolta:
«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2).
È tempo di conversione, tempo di libertà.
(Papa Francesco)
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