Giornalista, vaticanista, parrocchiano di San Pio V, nel suo ultimo libro Per un’altra strada, La leggenda del Quarto Magio (Paoline, 2020), Mimmo Muolo racconta la leggenda di Artaban, un inno alla speranza per tutti quelli che credono di essere rimasti indietro nella vita, un incoraggiamento per chi si sente sopraffatto dal dolore causato dal lutto e dalla malattia, il miglior regalo di Natale per chi crede di avere irrimediabilmente imboccato la strada sbagliata.
Perdere l’orientamento e ritrovarlo
C'è un Artaban in ognuno di noi, quando stentiamo a credere, a mettere insieme i pezzi della nostra vita, quando non ci decidiamo a seguire le ispirazioni buone che però ci scandalizzano perché, in un mondo che urla e strepita, ci invitano alla mitezza.
C’è un Artaban in ognuno di noi quando crediamo di aver fallito, dopo averle ormai tentate tutte, invano.
C’è un Artaban in ognuno di noi quando temiamo di aver sprecato i nostri talenti, per aiutare altra povera gente come noi, mentre avremmo voluto orgogliosamente consacrarli sull’altare di un dio.
C’è un Artaban in ognuno di noi quando sperimentiamo che l’ultima parola ce l’ha Dio e non noi, quando sentiamo il suo perdono che ci rigenera a una nuova vita, perché sì, è possibile rinascere.
Non solo l’iniquità mi aveva portato fuori strada, ma perfino l’occasione di fare del bene. C’era forse un messaggio in tutto questo? Perdere l’orientamento e ritrovarlo fa parte della vita, ora lo so (p. 101).
Ma, chi sono i Re Magi?
Chi rappresentano quelle tre statuine che ogni anno collochiamo (ma non subito, prima i pastorelli!) proprio davanti alla grotta, un po’ stonati nel contesto, tra pecore e maialini, con i loro cammelli e gli scrigni in mano?
Mimmo Muolo, nel suo ultimo libro, Per un’altra strada, La leggenda del Quarto Magio, ci conduce a guardare oltre i ricchi vestiti e i doni preziosi (un sano atteggiamento da adottare anche con le persone che incontriamo nella realtà!) per scoprire il loro cuore di saggi e studiosi, capaci di mettere da parte i libri per incamminarsi, attraverso il deserto, pellegrini come tanti che nei secoli hanno fatto lo stesso percorso, quello che va dalla testa al cuore, perché l’amore è la forma più profonda di conoscenza (p. 49). C’è una sofferenza nello studioso come nel pellegrino, dovuta all’incertezza della ricerca, al dubbio continuo sul cammino intrapreso, all’ostilità del deserto che necessariamente bisogna attraversare per arrivare alla meta del viaggio.
Ma soprattutto ci fa conoscere il Quarto Magio, che la leggenda vuole non sia arrivato a Betlemme insieme agli altri tre, perché troppo geloso delle sue intuizioni, troppo presuntuoso, forse anche troppo giovane ma comunque risoluto a raggiungere l’obiettivo per un’altra strada più tortuosa, più lunga, più faticosa.
Noi continueremo a seguirlo a fino a Betlemme e non ci rinunceremo neanche se dovessero offrirci tutti i regni della terra. Mi auguro tu possa fare lo stesso: seguire la strada dell’amore che serve. E sono certo che, per quanto grande sia il tuo ritardo, arriverai anche tu (p. 100).
Chi è il Dio che cerchiamo?
Niente più sacrifici, né idoli, né offerte. Artaban si apre con difficoltà a un Dio così diverso da quelli che conosceva e dall’immagine di Lui che si era costruito con il suo sapere. Un Dio che si fa pane, un Dio che muore, un Dio che infrange le regole e le capovolge. Un Dio al contrario di tutti gli altri (p. 70).
La conoscenza non basta, spiega Baldassarre al giovane Magio, il sapere senza l’amore prima o poi si ritorce contro l’uomo (p. 49); ai piedi della verità deponi l’amore (p. 134). La scelta di affidare questo messaggio alle parole di un intellettuale, un sapiente, un profondo conoscitore e interprete delle profezie, ci dà la dimensione dell’uomo, del credente che c’è dietro il racconto. Arrivare a questa consapevolezza è frutto della grazia che lavora in noi perché trova terreno fertile.
Gesù ha capovolto per sempre l’asse del nostro rapporto con Dio […] Dio che per primo si cura di noi, rimuovendo le paralisi causate dai nostri peccati. E noi non dobbiamo far altro che accogliere il suo amore nella nostra esistenza. Un amore totale, definitivo, che ci fa rinascere a vita nuova (p. 193).
Foto
Dio non si è stancato di noi.
Accogliamo la Quaresima come il tempo forte in cui la sua Parola ci viene nuovamente rivolta:
«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2).
È tempo di conversione, tempo di libertà.
(Papa Francesco)
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