(Mt 5,1-12a) In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito,perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto,perché saranno consolati. Beati i miti,perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

 

Somigliano ad un ponte le beatitudini di oggi. Un ponte sospeso tra due abissi: tra il giorno in cui la Chiesa celebra il ricordo dei propri Santi e il giorno successivo nel quale la Chiesa commemora i propri defunti. Feste misteriose, con addosso quel sospetto che i cristiani siano gente della sofferenza e del passato. Che piangono i morti come si piange sul latte versato, che guardano ai santi con malcelata compostezza come per dire: "Si, ok, ma quelli mica erano normali". Un popolo, quello che dice d'amare Gesù dei Vangeli, che sembra sempre sul ciglio della disfatta, ad un passo dal gusto per il macabro. Il Vangelo di oggi, invece, rischiara l'orizzonte. E' come uno squarcio che di luce nel cielo dopo la tempesta, quando guardiamo l'avanzare del sereno.

Eppure che senso ha dare del beato a chi oggi è uno scarto, all'uomo della periferia e dei cassonetti? «Beati (...) Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Facile promettere orizzonti di felicità domani: è l'oggi quello che all'uomo fa spavento, lo fa tremare, gli stordisce persino il cuore. In Chiesa è anche bello sentirle risuonare queste parole: la loro eco lascia come un ricordo degli istanti di quiete e di spensieratezza. Il problema è oltre quella porta della chiesa: laddove la storia chiama, grida. Smarrisce persino la voce nel chiedere aiuto. Parole strane quelle delle Beatitudini - «Le parole più alte che l'umanità abbia ascoltato» (M. Gandhi) - parole così strane da gettare il sospetto che siano le uniche degne d'essere ascoltate.  Chi sono i Santi? Sono quelle persone che hanno saputo leggere la storia con gli occhi di Dio. Persone - che non sono nate sante, ndr - che hanno accettato di lasciarsi guardare dal Cielo fino a riuscire a pensarsi come Dio li ha pensati: uomini perfettamente uomini. Così ricchi d'avere se stessi in proprio potere. Guarda, poi, che strano destino è toccato a loro: li abbiamo imprigionati nei capitelli delle chiese - trafitti di spade, desiderosi di fustigazioni, con in mano fiori di giglio o pezzi di carne sanguinante - quando invece il loro salotto era la strada. Armati di beatitudini, hanno guardato in faccia la storia e l'hanno attraversata. Non aggirata e nemmeno scansata. Eroismo? Più che eroismo si è trattato forse di fiducia. Che oggi, a fidarsi di qualcuno, sembra sia più la alta tra le forme di eroismo. Scesi in strada consapevoli che ognuno ha l'avvenire che si merita: oggi scartati e domani beati. Con quella fanciullezza di spirito che spinse qualcuno di loro ad essere considerato folle. Finendo per chiamare sorella quella che per alcuni invece è nemica, l'esatto opposto: la morte, per l'appunto. Sorella, invece: quasi una porta che, attraversata, getta luce sull’Oltre.

Io i santi me l'immagino da sempre come uomini coi piedi ben piantati per terra, dentro le strade polverose della storia: «Nessuno prende la realtà sul serio come il santo perché in verità ogni fantasticheria, sulla sua strada irta di pericoli, inesorabilmente si vendicherebbe. Diventare santo significa per l'uomo reale staccarsi da sé, per entrare nel Dio reale» scrisse un giorno Romano Guardini. La santità, dunque, come il massimo del realismo più che l'elogio della fantasia. Quel gran genio di Cartesio un giorno scarabocchiò una delle frasi che l'hanno fatto amare al popolo dei pensatori: «Cogito ergo sum» ("Penso, dunque sono"). Karl Barth, un teologo protestante, un giorno manomise quella scritta incastrandoci una semplice sillaba. Fu l'apparizione del Mistero: «Cogitor ergo sum» ("Sono pensato, dunque sono"). E il santo è tutto qui: un lasciarsi pensare da Dio e vivere come da Lui pensato.

Don Donato

 

 

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Dio non si è stancato di noi.
Accogliamo la Quaresima come il tempo forte in cui la sua Parola ci viene nuovamente rivolta:
«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (
Es 20,2).
È 
tempo di conversione, tempo di libertà

(Papa Francesco)


 

 

 

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