Sei entrato in chiesa perché vuoi pregare. Fermati e trova il tempo per riposarti e riprendere speranza con questa preghiera. Ogni settimana un testo diverso di autori di varie tradizioni per aiutarti a ritrovare il gusto della preghiera silenziosa. Perché, diceva Sant’Agostino: «nutre l’anima solo ciò che la rallegra».
Re dei Re
Signore, Cristo Gesù, Re dei re, che hai potere sulla vita e sulla morte, tu conosci gli intimi segreti e non ti sono ignoti né i miei pensieri né i miei sentimenti.
Signore, Cristo Gesù, Re dei re, Tu conosci l’estrema fragilità del mio cuore, della mia volontà, dà forza alla mia debolezza e sostienimi nei miei affanni.
Signore, Cristo Gesù, Re dei re, Tu che sei il mio sostegno, dimentica i miei numerosi peccati e perdona tutti i miei tradimenti.
Signore, Cristo Gesù, Re dei re, ti lodo e ti glorifico, nonostante la mia indegnità, perché con me la tua misericordia non ha limite.
Sei il mio aiuto e il mio protettore. Il tuo nome sia sempre lodato! A te, o Dio nostro, la gloria!
Efrem il Siro (306-373)
Questa domenica suggella l’anno liturgico elevando quasi nell’abside del tempo l’icona solenne di Cristo Re. Prendiamo anzitutto questa bellissima preghiera di S. Efrem il Siro. Efrem nacque nel 306 a Nisibi, città della Mesopotamia governata con la forza delle armi da Roma. Dei primi anni della sua vita si conoscono racconti molto diversi tra loro: certo, invece, il sacramento del battesimo ricevuto verso i 18 anni. Strinse una profonda e spirituale amicizia con il vescovo della città, Giacomo (santo, 15 luglio), con il quale contribuì a costruire e a guidare una scuola di teologia. Ordinato diacono prima del 338 dal vescovo Giacomo (303-338), visse e operò a Nisibi fino alla conquista persiana: Efrem, alternando la vita ascetica all’insegnamento, si ritirò gli ultimi anni presso Edessa dove morì il 9 giugno dell’anno 373. È obbligatoria la parola greca neotestamentaria da proporre: basiléia, «regno», presente 162 volte, a cui si associa spontaneamente basiléus, «re», citato 115 volte, a partire dal re Davide che si affaccia nella genealogia di Gesù Cristo (Matteo 1,6). Ebbene, quando lo stesso Gesù appare sulla ribalta del suo ministero pubblico in Galilea le prime parole che proclama sono: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!» (Matteo 4,17). Egli echeggiava le stesse parole pronunziate dal suo Precursore, il Battista (3,2).
Il centro dell’annunzio cristiano ruoterà appunto attorno a questo simbolo che era già stato adottato nell’Antico Testamento nel suo duplice significato, attivo di «governo e signoria» divina e passivo di popolo (o della terra) governato con giustizia dal Signore. Naturalmente l’immagine era stata desunta dalle civiltà dell’antico Vicino Oriente e dalla stessa esperienza di Israele che aveva scelto l’istituto monarchico attorno alla metà dell’XI sec. a.C. Anzi, la dinastia davidica era stata considerata come la via storica al messianismo. Ora il concetto di «regno di Dio» («regno dei cieli» è una forma cara a Matteo per evitare, secondo lo stile giudaico, l’uso del nome divino, sacro e impronunciabile) vuole indicare soprattutto il progetto di una società giusta, di una creazione armonica, così come è concepita e voluta da Dio. Un progetto purtroppo incrinato e devastato dal peccato dell’uomo. I Salmi che cantano il regno di Dio (47; 93; 96-99) esaltano l’intervento del Signore re per dar origine a quel «regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace» che è appunto celebrato come speranza nella liturgia della solennità di Cristo Re.
Sì, perché Gesù non solo proclama l’inaugurazione del regno di Dio nelle sue parabole e nella sua opera salvifica, ma egli stesso è definito come re nella grandiosa scena del giudizio finale, tratteggiata da Matteo: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria… Allora il re dirà a quelli che sono alla sua destra…» (25,31.34). Egli è il basiléus greco, il sovrano che ricopre lo stesso compito che era di Dio nell’Antico Testamento: «Il Signore viene a giudicare la terra: giudicherà il mondo con giustizia e con verità tutte le genti… perché giustizia e diritto sono la base del suo trono» (Salmi 96,13; 97,2; 98,9).
Quanto il suo governo sia diverso da quello dei sovrani di questo mondo, Gesù lo dichiara esplicitamente al rappresentante del potere imperiale romano, il procuratore Ponzio Pilato, in una pagina del Vangelo di Giovanni: «Il mio regno non è di questo mondo… Io sono re… per rendere testimonianza alla verità» (si legga 18,33-37). Per questo lo stesso evangelista Giovanni presenterà per una dozzina di volte il tema della regalità di Cristo durante la sua passione, trasformando la croce nel trono della gloria del Crocifisso. Cristo è, quindi, un re che non si comporta come «i re delle nazioni che dominano e si fanno chiamare benefattori» (Luca 22,25). «Il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Marco 10,45). Egli si sacrifica e si fa circondare non dai potenti ma dagli ultimi della terra, condividendone la sorte. È questo il regno di Dio, simile a «un granellino di senapa…, il più piccolo di tutti i semi, oppure al lievito impastato con la farina» della storia umana (Matteo 13,31-33). Nascosto ma efficace, celato nelle pieghe della terra ma fecondo. È questo il regno di Dio che noi invochiamo nella preghiera del Padre nostro: «Venga il tuo regno!». Ed è questo l’annuncio che viene ripetuto in nome di Cristo dai suoi discepoli: «Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino» (Matteo 10,7). Gianfranco Ravasi
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«La pace sia con tutti voi!...
Vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, a tutte le persone, ovunque siano, a tutti i popoli, a tutta la terra... Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà! Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti»
(Papa Leone XIV, 8 maggio 2025)
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