Fratello mio, sorella mia,
concediti un momento di semplicità in questi giorni, lascia che Dio ti prenda per mano e ti conduca davanti al presepe, per fare anche a te gli auguri di Natale.
Come Dio ha vissuto e vive il suo Natale?
Quello che si impone nel mistero di Natale mi sembra sia anzitutto il consegnarsi di Dio nelle mani degli uomini. Dio si mette nelle mani di Maria e Giuseppe. Dio si mette nelle mani dei pastori. In un certo senso si mette anche nelle mani dei potenti, visto che nasce a Betlemme per l’editto di un imperatore.
Dio, fatto bambino, è colui che sceglie di dipendere, di essere totalmente disponibile, esposto sia all’accoglienza che al rifiuto. Bisognerebbe sempre contemplare con stupore la strana, incredibile, incomprensibile disponibilità di Dio:
“Tu, o Signore, sei veramente un Dio completamente donato. Ti consegni sempre nelle nostre mani. È il tuo “debole” che non è cambiato da allora: sei fatto così, sei amore che si lascia fare”.
In questa arrendevolezza di Dio c’è però una ostinazione. E per capirlo prendiamo dal racconto del Vangelo di Luca un particolare: “non c’era posto per loro nell’albergo”. Che tipo di albergo fosse non ha importanza. Non è neppure il caso di immaginare insensibilità e durezza da parte degli albergatori. Perché non pensare semplicemente che non c’erano più posti disponibili per i nuovi venuti?
In forme diverse è una situazione che può presentarsi anche per noi.
Nella nostra vita, troppo occupata da interessi, attività, obiettivi, legami, non c’è posto per Gesù.
Non vuol dire che siamo contrari o che siamo cattivi. Semplicemente siamo già occupati da qualcos’altro per cui, senza alcuna cattiveria, non c’è più posto per Lui. È come se anche noi avessimo una targhetta esposta con la scritta “completo”.
E Dio cosa fa?
Qui si rivela la sua divina ostinazione. Dio si ostina a nascere. Nasce comunque. Se non nell’albergo, in una stalla.
È la legge dell’amore.
Nasce anche dentro la nostra vita congestionata e occupata. Anche se non c’è posto per lui. Nasce lo stesso.
Sceglie la parte più oscura del nostro essere, buia come una stalla, là dove si raccolgono i sentimenti disordinati, confusi, irrazionali, sui quali abbiamo paura di fissare lo sguardo. E in quella parte dimenticata del nostro essere, in quel silenzio e in quell’oscurità, Dio fa brillare una timida luce, quella della sua nascita.
Ciascuno porta dentro di sé questo Natale segreto.
È forse la ragione che ci fa trovare più uniti. Chi però di noi potrà cogliere la bellezza di questo evento?
A Betlemme si sono accorti i pastori, gente umile e povera.
Tutto a Betlemme parla di povertà: Maria, Giuseppe, la mangiatoia, i pastori…
Ma soprattutto a parlare di povertà è quel bambino: Dio nudo, bambino e vulnerabile.
Per celebrare il Natale, per capire qualcosa di ciò che significa per ciascuno di noi la nascita di Gesù, bisogna respirare l’aria pura della povertà e della semplicità.
Solo i piccoli sanno capire. È forse per questo che Gesù un giorno ha preso un bambino, lo ha messo in mezzo ai suoi amici e ha detto “se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli”.
Cosa può capire del Natale chi è pieno di sé, chi si crede autosufficiente, chi vuole attirare su di sé l’attenzione, o chi ha la mente, il cuore, la casa, congestionati da tante cose?
Dio non cesserà di nascere, ma per riconoscerlo occorre uno sguardo da bambino.
E ad un bambino appena nato ci si accosta con tenerezza e dolcezza. Senza far rumore. Perché è fragile.
Ha bisogno di tutto.
Forse Dio si è innamorato del corpo dell’uomo vedendo il volto di un bambino addormentato.
Ma un bambino appena nato pone anche delle domande: cosa rappresenta per la nostra vita di adulti? La semplicità, la spontaneità, l’innocenza?
A Natale anche il bambino Gesù ci fa tenerezza, ma solleva qualche domanda: perché ci allontaniamo così spesso dalla nostra infanzia?
Se Dio è rimasto affascinato dalla piccolezza perché noi smaniamo per avere successo, potere e ne facciamo il senso ultimo del vivere?
Perché presumiamo di decidere e programmare tutto basandoci solo sulle nostre forze?
Ti auguro di riuscire a fare un po’ di silenzio, in questi giorni, per sentir cantare gli angeli (non è facile perché gli angeli hanno un canto molto delicato e basta la minima distrazione per non sentirlo) che anche a te vogliono dire: anche tu sei abitato da Dio.
È essenziale ascoltare questo annuncio, per “vivere” questo Natale, non per “sopravvivere” al Natale.
Ti stringo al cuore.
Don Donato
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