Vita di San Pio V

 

Tratta da "Bibliotheca Sanctorum'' Vol. X
Testo a cura di Angelico Iszak

 

 

 

 

 

 

 

I. PRIMA DEL PONTIFICATO

 

1. Origini e giovinezza.
Nacque il 17 gennaio 1504 nel comune di Bosco (dal 1863 si chiama Bosco Marengo), poco distante da Alessandria, appartenente allora alla diocesi di Tortona e al ducato di Milano. I genitori, Paolo Ghislieri (Ghialzei, Ghisilieri) e Domenica Augeria, al battesimo gli imposero il nome di Michele. Secondo i biografi, la povertà dei genitori non gli permise di studiare tanto quanto desiderava, obbligato come era a custodire le pecore.

All'età di quattordici anni, forse con l'aiuto del concittadino Bastone, poté iniziare gli studi regolari nel convento domenicano di Voghera. Ivi ricevette l'abito religioso e fu mandato, per fare il noviziato, nel convento di Vigevano, col nome di fra’ Michele Alessandrino. Da questo momento la sua vita è strettamente legata alla riforma religiosa nella Congregazione (dal 1531, provincia) domenicana di Lombardia. Finito l'anno di noviziato, fece la professione solenne il 18 maggio 1521. Sembra che abbia compiuto gli studi di filosofia e teologia nei conventi di Vigevano, Bologna e Genova. A Genova ricevette l'ordinazione sacerdotale nel 1528 e in seguito venne abilitato all'insegnamento col titolo di lettore in teologia. Durante questi anni di intensi studi scolastici, acquistò non solo le scienze prescritte, ma anche quell'amore generoso della verità e quella rettitudine di volontà che lo caratterizzeranno per tutta la vita.

Durante i successivi sedici anni lo troviamo lettore di teologia in vari conventi dell'alta Italia, e priore, due volte a Vigevano, una volta a Soncino e ad Alba.

 

2. Al servizio dell'inquisizione.

Dopo che Paolo III nel 1542, ebbe istituito l'inquisizione romana, il Ghislieri venne nominato vicario di Sante da Padova, inquisitore di Pavia, poi - intorno al 1546 - inquisitore della diocesi di Como.

Nel 1551 morì Teofilo Scullica, primo commissario generale del S. Ufficio e i cardinali inquisitori designarono a succedergli l'inquisitore di Como (giugno 1551). Quando poi il card. Carafa fu elevato al pontificato col nome di Paolo IV, il Ghislieri ricevette dapprima poteri che fino ad allora erano riservati ai cardinali (1° settembre 1555), fu quindi fatto membro della commissione istituita per la riforma della curia (gennaio 1556); il 4 settembre 1556 fu nominato vescovo di Nepi e Sutri; il 15 marzo 1557 veniva creato cardinale e il 14 dicembre 1558 inquisitore maggiore. A differenza di alcuni suoi colleghi, egli non voleva per sé né ricchezze né tenere corte numerosa, ma esigeva dai suoi “familiari” una condotta quasi monastica ed egli stesso dava esempio di vita austera e laboriosa.
Durante il pontificato di Paolo IV, come inquisitore maggiore dovette occuparsi, fra molti casi affidatigli, anche di alcuni molto dolorosi, come il processo, sotto accusa di eresia (fondate su semplici sospetti), contro il card. Morone, riconosciuto poi innocente; quello relativo all'arcivescovo di Toledo, Bartolomeo Carranza, detenuto nelle carceri dell’inquisizione spagnola ed altri, poiché però lo zelo antiereticale del papa, sospettava eresia anche dove non ve n'era neppure l'ombra, anche il Ghislieri cadde qualche volta nel sospetto di Paolo IV, e si sentì dare del "frate sfratato" e "luterano" (Pastor, VI, p. 650); al principio di agosto, 1559, per avere ospitato un inviato del Carranza, dovette ascoltare per mezz' ora, in pieno concistoro, i rimproveri del papa e, due giorni dopo, l'accusa di essere indegno della porpora e la minaccia di essere incarcerato in
Castel S. Angelo (ibid., p. 665).

Col successore di papa Carafa, Pio IV, per parecchio tempo i rapporti furono assai buoni: il nuovo pontefice lo confermò nella carica di inquisitore maggiore, riducendo tuttavia le sue competenze alle sole cause che riguardavano la fede. Successivamente lo trasferì all'episcopato di Mondovì (27 marzo 1560), col permesso di restare a Roma per dedicarsi alla direzione dell'inquisizione ed incaricare del governo della diocesi Girolamo Ferragatta. Il Ghislieri si recò tuttavia a Mondovì allo scopo effettivo di esercitare una specie di "generai sopraintendentia” sopra gli affari religiosi e le diocesi del Piemonte con l'autorità di disporre, secondo le esigenze dei singoli casi, nel modo migliore, con la previa approvazione di Pio IV (lettera di s. Carlo Borromeo al nunzio di Torino, 12 giugno 1561), specialmente in ciò che riguardava la predicazione della fede, la repressione dell'eresia e la revoca dei decreti ducali sul foro ecclesiastico.

Dopo aver visitato Emanuele Filiberto a Torino, il 7 agosto 1561 fece il solenne ingresso a Mondovì: subito dopo iniziò la vita pastorale che rivelò ben presto vari abusi. Per eliminarli, il nuovo vescovo chiese aiuto alle autorità civili le quali, però, spesso erano restie ad accontentarlo. Si rivolse allora al duca (lettera del I° settembre 1561) chiedendo aiuto contro gli abusi da lui denunciati, ma questo, per il quale la presenza del cardinale in Piemonte sembrava una missione di sorveglianza sulla sua politica ecclesiastica, non gli rispose. Perciò il 14 settembre, senza congedarsi dal duca, il Ghislieri intraprese il viaggio di ritorno a Roma, dove arrivò il 25 novembre.

A Roma, i suoi dissensi con la politica ecclesiastica di Pio IV lo fecero cadere in disgrazia: nella prima metà del 1564 il Papa lo privò dell'appartamento che aveva in Vaticano; il 2 agosto, con l'istituzione della commissione cardinalizia che doveva dirigere l'inquisizione romana, il Ghislieri si vide praticamente destituito dall'ufficio di inquisitore maggiore. Qualche mese dopo, constatando che la sua presenza a Roma non era più necessaria, decise di ritornare a Mondovì. Ma la notizia che i corsari avevano preso la nave che trasportava i suoi bagagli e la malattia che già nel 1564 l'aveva portato sull'orlo della tomba e ora ricominciava a tormentarlo, l'indussero a chiedere al papa il permesso di restare a Roma.

 

Il. SULLA CATTEDRA DI PIETRO

 

1. L'elezione e gli inizi del pontificato

Pio IV morì il 9 dicembre 1565 ed i nipoti (il card. Altemps e s. Carlo Borromeo) promossero, dopo parecchi giorni di infruttuose votazioni, l'elezione del Ghislieri il 7 gennaio 1566. Il nuovo papa prese, per riguardo al predecessore, il nome di Pio V e l'incoronazione avvenne il 17 successivo, suo giorno natale.
"Raramente in un papa il principe è passato in seconda linea di fronte al prete come nel figlio di san Domenico, che ora sedeva sulla cattedra di san Pietro. Una cosa soltanto stavagli a cuore: la salute delle anime. A servizio di questa missione egli pose tutta la sua attività e sulle esigenze della medesima egli calcolava il valore di ogni istituzione e azione" (Pastor, VIII, p. 46).

 

2. La riforma della Chiesa.

Pio IV aveva già promulgato i decreti di riforma del concilio di Trento (26 gennaio 1564); toccò ora al suo successore il compito di metterli in pratica e, perché non restassero lettera morta, non gli mancavano né la volontà né la necessaria energia.

Il Concilio aveva affidato al papa la riforma della curia romana e Pio V cominciò dalla sua persona: nessuna indulgenza verso se stesso, era contrario ad ogni tipo di nepotismo poiché la Chiesa non doveva essere asservita ai parenti del papa. Soltanto quando vide che alcuni cardinali che dovevano aiutarlo nel governo seguivano i propri interessi, decise di creare cardinale il pronipote Michele Bonelli (3 marzo 1566) che doveva operare sotto il diretto controllo del papa e secondo severe regole da lui stabilite.

Invitava ripetutamente i cardinali a riformare se stessi e i loro familiari, ma per riguardo all'età e dignità dei porporati non volle emanare nessun decreto generale: si limitava ad avvertirli e a rimandare nella loro diocesi quelli che non erano indispensabili a Roma. Nella creazione dei nuovi porporati non ammetteva alcuna interferenza politica: badava soltanto ai meriti e alle attitudini dei candidati.

Per attuare la riforma dei vari uffici di curia e del clero romano, Pio V avrebbe voluto a Roma il card. Borromeo, ma questi, appellandosi al proprio dovere di rimanere presso il gregge affidatogli, ottenne di esser sostituito da Nicolò Ormaneto, suo stretto collaboratore nella riforma milanese. La completa riorganizzazione, su nuove basi della Penitenzieria, i decreti di riforma che riguardavano la Dataria, la Segnatura, la Camera Apostolica e la Cancelleria, la nuova sistemazione degli archivi di curia, sono testimoni dello zelo di papa Ghislieri.
Già pochi giorni dopo l'incoronazione istituì una commissione cardinalizia che doveva esaminare la scienza e la condotta di tutti i chierici romani.
La visita pastorale, fatta in parte dal papa, in parte da visitatori incaricati, controllava l'ufficiatura delle chiese, l'istruzione catechistica dei fedeli, la cura spirituale dei malati e dei moribondi, le opere di beneficenza, ecc. La formazione del giovane clero era già stata assicurata dai suoi predecessori
attraverso l'opera del Collegio Romano, affidato ai Gesuiti. Disposizioni simili vennero date per tutte le province degli Stati Pontifici e il controllo della loro osservanza affidato ai visitatori nominati dal papa (le diocesi di Porto e Ostia vennero visitate da Pio V in persona).

Pio V, inoltre, inculcava ai vescovi degli altri paesi l'osservanza dei decreti tridentini: l'obbligo di residenza, la visita pastorale, la fondazione di seminari e la riunione di sinodi. Per rendere più efficaci i suoi continui ammonimenti, mandò visitatori apostolici con poteri straordinari nel regno di Napoli, in molte diocesi dell'Italia centrale e settentrionale, in Germania e in Austria. Nella nomina dei vescovi voleva, per quanto possibile, evitare ogni influenza laica, pur non sempre riuscendovi.
Era intransigente di fronte alle richieste di rendere meno rigida la legge del celibato ecclesiastico.
Non meno deciso era il pontefice riguardo alla riforma dei religiosi: prescrisse a tutti la clausura papale, l'ufficiatura corale, la professione solenne; regolò l'età minima per la professione; proibì di risiedere fuori convento e di passare da un Ordine all'altro col pretesto di una maggiore perfezione. Spesso trovò nei religiosi la prontezza necessaria alla realizzazione di una profonda riforma interna, non erano però rari i casi di resistenza, anche ostinata, tra i quali il più doloroso fu quello degli Umiliati che non volevano saperne della riforma, anzi, uno di loro - con la complicità di altri - attentò alla vita di s. Carlo, loro cardinale protettore e riformatore. Il papa, con la Bolla del 7 febbraio 157I, soppresse il ramo maschile dell'Ordine.

 

3. Difesa e propagazione della fede.

Pio V, convinto che l'opera del concilio di Trento che aveva condannato le eresie del tempo ed esposto la dottrina della Chiesa, dovesse essere completata con la dimostrazione pratica dell'unità della tradizione dogmatica delle Chiese orientale e occidentale e del Medioevo con l'Antichità, decretò per i quattro Dottori greci (Basilio, Gregorio Nazianzeno, Gregorio Nisseno Giovanni Crisostomo) gli stessi onori liturgici che si tributavano ai Dottori latini (Ambrogio, Girolamo, Agostino, Gregorio Magno) e - estendendo il concetto di "Dottore della Chiesa" - aggiunse loro s. Tommaso d'Aquino (sembra che avrebbe voluto fare lo stesso con s. Bonaventura). Nella stessa intenzione, e specialmente per aiutare i parroci nell'istruzione catechistica, fece pubblicare (1566) il Catechismo Romano e ne promosse la traduzione in altre lingue. Volle anche avere un testo ufficiale, corretto, della S.Scrittura, ma la commissione da lui istituita, per le difficoltà dell'impresa, procedette con grande lentezza; in attesa che l'opera fosse compiuta, comunque, fece pubblicare a sue spese la Bibliotheca sancta di Sisto Senese (1566) con cui indicò la nuova e sicura via da seguire negli studi biblici. Un mezzo efficace a rappresentare e rinsaldare l’unità della fede attraverso i riti del culto cattolico, era la riforma e l'unificazione della liturgia: Pio V fece pubblicare il Breviario (1568) e il Messale (1570) e li impose a tutte le diocesi e a quegli Ordini religiosi che non avevano una liturgia propria da almeno duecento anni e riservò, per l’avvenire, alla S. Sede ogni innovazione liturgica.

Convinto che per evitare l'ulteriore defezione dei fedeli l’inquisizione fosse un mezzo indispensabile, decise di ripristinare la severità nei procedimenti contro gli eretici che era stata propria del pontificato di Paolo IV. Fece pertanto costruire il palazzo del S. Ufficio ed intensificare i processi contro i denunziati. Le carceri dell'inquisizione erano colme di detenuti, la maggior parte di essi, peraltro, o dopo la constatazione dell'innocenza o dopo l’abiura, venne liberata; ma c'erano anche molti ostinati che finirono sul patibolo, come Pietro Carnesecchi (1567) e Aonio Paleario (1570).

Ma l’inquisizione spagnola preoccupava il papa: quello che doveva essere un tribunale religioso, effettivamente era diventato uno strumento di regno nelle mani di Filippo II che se ne serviva per la piena realizzazione del suo cesaropapismo. Bartolomeo Carranza, arcivescovo di Toledo, ne era una delle vittime; dopo vari tentativi per ottenerne l'estradizione e le ripetute insistenze di Pio V, alla fine, il 28 maggio 1567, il Carranza potè giungere a Roma; ma a causa dei maneggi dell'inquisizione spagnola e degli inviati di Filippo II neppure il papa poté far piena luce sulla posizione del prelato spagnolo, che dovette restare in carcere a Roma fino al 14 aprile 1576.

In Belgio le controversie anti-protestantiche generarono un nuovo errore, sostenuto da Michele Baio (Du Bay). Denunciato a Roma, le sue settantanove tesi vennero condannate il I° ottobre 1567 (Denzinger-Schonmetzer, Enchiridion Symbolorum, nn. 1001-1080). Baio si sottomise: tuttavia nuove polemiche lo provocarono a difendersi e ciò rese necessari nuovi interventi del papa, fino a quando nel 1579 non si riuscì a porre fine alle polemiche e ai sotterfugi.

Il pontificato di Pio V rivestì notevole importanza anche per la propagazione della fede. Fra i meriti da lui acquisiti in favore delle missioni è importante l'istituzione di una commissione cardinalizia che doveva dirigere l'evangelizzazione dei popoli d'America, d'Africa e d'Asia. II papa incoraggiava anche le iniziative che rendevano a costituire delle comunità indigene in luoghi separati, per sottrarle alle angherie dei bianchi: in certi paesi (Perù, Messico, Colombia, Goa) papa Ghislieri poté vedere i buoni risultati missionari, mentre in molti altri egli era stato solo il seminatore e ai suoi successori era riservata la mietitura.

 

4. Il principe temporale.

Come sovrano degli Stati Pontifici Pio V riformò la giustizia; una volta al mese riceveva lagnanze contro tribunali e ufficiali; due volte la settimana riceveva la povera gente ed interveniva per rimediare agli abusi di qualsiasi genere che gli venivano segnalati. Era severo nel reprimere la vecchia piaga del banditismo e a volte ottenne dei risultati parziali, non sempre però aveva mano felice nelle misure decretate. Le disposizioni riguardanti la vita economica dei suoi stati (non gravare di nuove imposte straordinarie la popolazione, abolire certi servizi e certe tasse, prendere misure contro l'usura e la bancarotta fraudolenta, patrocinare bonifiche, ecc.) erano suggerite dalla carità, più che elaborate e realizzate secondo un piano organico, poiché per una concezione così vasta dei problemi temporali il papa, tutto rivolto verso gli interessi spirituali, non aveva tempo né i tempi erano maturi.

 

5. I rapporti con gli stati e principi cattolici.

Questi rapporti spesso erano difficili: il papa cercava gli interessi spirituali (riforma della Chiesa, difesa della fede), mentre i principi volevano dei benefici temporali, dinastici e nazionali.

Così la Polonia si trovava sull'orlo di un caos religioso, minacciata dal sopravvento del Protestantesimo e dalla fondazione di una Chiesa nazionale che fosse favorevole al divorzio del re Sigismondo Augusto: la paziente opera di persuasione dei legati pontifici riusciva ad ostacolare il progetto, ma soltanto la morte della regina (febbraio 1572) poté definitivamente allontanare il pericolo.
Dall'Inghilterra venivano notizie tristi sulle condizioni della Chiesa cattolica. Ma neppure la cattolica regina di Scozia, certo non sempre coerente nel suo modo di agire, poteva dare soddisfazione al papa, alieno dai compromessi in tutto ciò che riguarda la fede. Così si spiega l'esitazione fra il disinteressamento per Maria Stuarda e gli interventi a suo favore contro Elisabetta d'Inghilterra che il 15 febbraio 1570 Pio V scomunicò e dichiarò deposta dal trono, sciogliendo i sudditi dal giuramento di fedeltà. Provvedimento in realtà anacronistico e inopportuno che ebbe come effetto un inasprimento della persecuzione anticattolica (Pastor, VIII, pp. 415-20).

Anche la Francia era causa di preoccupazioni per Pio V, fra i due forti partiti religiosi, cattolici e ugonotti, la corte non si faceva guidare da convinzioni religiose, ma da interessi dinastici, anzi alle volte da motivi egoistici. Il papa consigliava la maniera energica, ma Caterina de' Medici si accontentava di mezze misure e si lasciava sfuggire le occasioni di sfruttare le vittorie riportate con l'aiuto deI pontefice. In modo particolare amareggiava il vicario di Cristo l'atteggiamento ostinatamente antispagnolo della monarchia francese che preferiva l'alleanza con i Turchi e i protestanti ad una lega antiturca, mentre il sultano minacciava ormai l'Europa centrale e l'Italia meridionale.

Nella Spagna cattolicissima il cesaropapismo di Filippo II causava uno stato di continua tensione fra Madrid e Roma.
In Germania il cattolicesimo ottenne alcuni buoni risultati (l'allontanamento del pericolo della secolarizzazione dell'episcopato di Colonia, i progressi della riforma cattolica in Baviera e nel territorio di Fulda, la restaurazione cattolica nel marchesato di Baden, ecc.), ma l'imperatore Massimiliano II era piuttosto favorevole ai protestanti e face a loro delle concessioni molto importanti, il che non poteva concigliargli le simpatie del pontefice.

 

6. La lega contro i Turchi.

Pio V non voleva essere che capo spirituale della Cristianità e perciò gli era estraneo perfino il pensiero di muover guerra contro chiunque sia. E tuttavia toccò proprio a lui il compito di preparare la più grande battaglia navale che sia mai stata combattuta con navi a remi e, dopo lunghe trattative, si riuscì ad unire in una lega la S. Sede, la Spagna e la Repubblica veneziana.
Dopo gli insuccessi nel 1570, dovuti all'egoismo e alla discordia, nel 1571 si ebbe alla fine una flotta efficiente sotto il comando di don Giovanni d'Austria, fratellastro di Filippo II. La flotta dei cristiani, dopo una eroica lotta riuscì a sconfiggere i Turchi a Lepanto e riportare una clamorosa vittoria il 7 ottobre 1571. Il pontefice, avuta la buona notizia nella notte del 21-22 ottobre, tentò ogni mezzo possibile per sfruttare la vittoria: la lega fu effettivamente prorogata (10 febbraio 1572), ma, poco dopo la morte di Pio V, a causa dell'egoismo degli alleati, venne sciolta.

Poiché la vittoria di Lepanto era stata ottenuta il 7 ottobre, che cadeva quell'anno la prima domenica del mese, giorno in cui si facevano processioni in onore della Regina del Rosario, il papa l'attribuì all'intercessione della Madonna. Perciò il 17 marzo 1572 decise che il 7 ottobre fosse celebrata la festa della Madonna della Vittoria (festa che per ordine di Gregorio XIII [1° aprile 1573], venne trasferita alla prima domenica di ottobre e chiamata festa della Regina del Rosario).

 

III. MORTE E GLORIFICAZIONE.

La malattia che lo tormentava dal 1555 e che nel 1564 lo aveva portato sull’orlo della tomba, al principio del 1572 cominciò a diventare più dolorosa e pericolosa. Il 6 aprile Pio V uscì ancora ad impartire ai Romani la benedizione pasquale e il 21 successivo a fare la visita delle “Sette Chiese" di Roma, ma dal 26 il male era diventato così grave da causargli dei continui deliqui. Il 30, sentendo vicina la morte, si fece mettere l’abito domenicano, ricevette i sacramenti, se pure fu costretto a rinunciare al Viatico. Si sentiva che mormorava: "Signore, aumenta i miei dolori, ma anche la mia pazienza". Morì la sera del 1° maggio 1572.

La salma venne provvisoriamente sepolta presso quella di Pio III, nella cappella di S. Andrea della basilica vaticana. La sua ultima volontà era stata di essere trasportato nella chiesa di Bosco, ma Sisto V volle che la salma del suo venerato protettore e modello fosse conservata a Roma: fece dunque costruire in S. Maria Maggiore, nella cappella del Sacramento, un grandioso mausoleo dove la salma venne trasferita l'8 gennaio 1588 (la traslazione è rappresentata in un dipinto nella biblioteca Vaticana). 

Le reliquie si trovano ancora oggi nella cappella della basilica Liberiana. Il 10 marzo 1904 venne aperto il sarcofago; lo scheletro fu rivestito di nuovi abiti pontificali e il teschio coperto con una maschera d'argento (Pastor, VIII, 586, nota 4; Il Rosario, Memorie domenicane, XXI [1904], pp. 232, 313-14).

Il 14 marzo 2013, il giorno dopo la sua elezione, papa Francesco ha pregato per qualche minuto davanti alla tomba di San Pio V, nel corso della sua prima uscita dal Vaticano, nella Basilica di Santa Maria Maggiore (vedi qui il video del CTV)

Il culto, iniziato subito dopo la morte, indusse le autorità della Chiesa a pensare ad un riconoscimento ufficiale; sembra infatti che i primi passi fossero compiuti sotto Sisto V, ma alla beatificazione si giunse soltanto nel 1672; Clemente X firmò il decreto che fissava al 5 maggio la festa annuale del beato Pio V, ma il decreto non fu letto che il 1° maggio 1672 durante la solennità della beatificazione (Bull.Ord. Praed., VI, pp. 306-307).

Il 22 maggio 1712 Clemente XI procedette alla canonizzazione (ibid., pp. 478-87). La Congregazione del S. Ufficio - oggi Congregazione per la Dottrina della Fede - lo venera come suo santo patrono.

Nel 2004, in occasione del V centenario della nascita di San Pio V, Papa Giovanni Paolo II ha inviato un messaggio a Mons. Fernando Charrier, Vescovo di Alessandria.

IV. ICONOGRAFIA.

L'iconografia di questo santo pontefice è abbastanza copiosa e si trova specialmente in Roma, dove visse ed operò nei suoi pochi anni di pontificato nonché nella sua terra di origine nel Piemonte e nella Liguria, particolarmente nelle chiese domenicane, al cui Ordine apparteneva. 

La maggior parte delle sue raffigurazioni ce lo tramandano quale supremo pastore della Chiesa, quindi o in abiti pontificali o nell'ordinario abito papale, con tonaca bianca e mozzetta di velluto rosso, con o senza stola e, spesso, con il camauro rosso. Più difficilmente lo vediamo rappresentato nel periodo antecedente alla sua elevazione al pontificato romano.

Occorre accennare alla sua volontà di riunire le forze cristiane per debellare i Turchi, che si accingevano a conquistare l'Europa, e perciò lo vediamo raffigurato nelle scene della battaglia di Lepanto, la cui vittoria fu attribuita all'intervento della Vergine e alla preghiera del S. Rosario. L'anno successivo a detta vittoria (1572) Pio, in ringraziamento, istituiva la festa della Vergine delle Vittorie, che divenne in seguito la festa della Madonna del Rosario, perciò, talvolta, nelle rappresentazioni di detto titolo della Vergine, si trova genuflessa la figura del santo pontefice facilmente riconoscibile per le linee caratteristiche del volto: scarno, con zigomi sporgenti e naso alquanto adunco, ornato in una fluente barba bianca. Venendo in particolare alle sue raffigurazioni, va ricordato subito il grandioso monumento sepolcrale della basilica di Santa Maria Maggiore in Roma, fatto costruire dal Papa Sisto V. Oltre alla statua seduta in abiti pontificaIi con tiara e benedicente, di Leonardo da Sarzana (sec. XVI), vi sono cinque bassorilievi, due dei quali di grandi dimensioni, ai lati della statua: la consegna dello stendardo ad Antonio Colonna (o, secondo altri, a don Giovanni d'Austria) e la consegna del bastone di capitano al conte di Santa Fiora variamente attribuiti a Niccolò Pippi di Arras, a Nicola Cordier, Egidio della Riviera (Gilles van den Viete).

Già in vita Pio V, pensando alla sua sepoltura nella chiesa fatta costruire nel paese natale (a Bosco Marengo, Alessandria) da Giannantonio Buzi di Viggiu, fece costruire un grandioso mausoleo che doveva accogliere le sue spoglie e che poi fu cambiato in altare. Fra un duplice ordine di colonne è rappresentato in un bassorilievo Cristo risorto ai cui piedi sta inginocchiato, in abiti pontificali, il papa il cui capo è di marmo bianco, mentre il piviale è in marmo di colore rosso variegato. Alcuni attribuiscono questo mausoleo a Lodovico degli Albani e infatti può darsi che questi abbia avuto parte per l'architettura e il Buzi per la parte scultorea. Domina il monumento in alto la statua di s. Michele Arcangelo (patrono del Ghislieri che prese nome nell'Ordine domenicano di fra Michele), che abbatte il demonio.

Altre raffigurazioni del santo pontefice nella medesima chiesa sono: Il p. Danti nell'atto di offrire il modello dei sacri edifici al Pontefice, un quadretto ove il papa benedice lo stendardo di Marcantonio Colonna prima della battaglia di Lepanto. Però l'opera pittorica più importante che riguarda Pio V è la pala della cappella del Rosario o Madonna delle Vittorie, che mostra la Vergine del Rosario con s. Domenico e s. Caterina ed in basso sullo sfondo del golfo di Lepanto, i protagonisti della battaglia omonima: Pio V, con il nipote cardo Bonelli, Filippo II di Spagna, il doge Mocenigo.

Sempre nella stessa chiesa, il Vasari, nel grandioso Giudizio Universale, commessogli dallo stesso pontefice, come è detto nel quadro stesso, in data 1568, ritrasse Pio V in basso accanto a s. Michele Arcangelo, che divide i buoni dai cattivi.

A ricordo della sua munificenza verso gli ospedali di Alessandria, Pio V fu raffigurato da Francesco Mensi(1800-1888) in un dipinto che si trova nella sagrestia dell'attuale ospedale. Nella stessa città, nella chiesa di S. Maria di Loreto, sempre dello stesso Mensi, un quadro con la Vergine col Divino Infante che tiene in mano la corona del Rosario, i ss. Domenico e Caterina da Siena ed una visione della battaglia di Lepanto con s. Pio V che, genuflesso, rende grazie per l'ottenuta vittoria.

Nella Galleria Colonna in Roma vi è un ritratto del pontefice seduto a figura intera, che il Pastor reputa il migliore, e sembra provenire dal Palazzo Colonna di Paliano; nel castello di Paliano (appunto dei Colonna) è da notare la rappresentazione di Pio V che tiene il concistoro nel quale Marcantonio è designato capo della flotta pontificia. Oltre al ritratto eseguito dal Pulzone e conservato nel convento dei Domenicani di S. Maria delle Grazie a Milano, abbiamo dello stesso autore varie incisioni, e un altro esemplare nel Collegio Ghislieri di Pavia, fondato dallo stesso Pio V nel 1569. Interessante l'effigie del pontefice con mani giunte davanti al Crocifisso posto sul frontespizio dell'opera biografica del Catena e anche sul frontespizio dell'altra biografia del Ghislieri scritta da Giov. Ant. Gabuzio del 1605.

Tra i miracoli che si ricordano nella sua vita, vi è quello noto del Crocifisso che ritrae i piedi mentre il santo sta per baciarli, perché avvelenati. Di questo miracolo abbiamo varie rappresentazioni: quella che si conserva a Genova nella chiesa di S. Maria di Castello, di Alessandro Gherardini (1655-1723 o 28). Nella medesima cappella si trova il medaglione dell'urna con il miracolo di una ossessa guarita da Pio V con un segno di croce, di Lorenzo Conforto. Ancora in Piemonte, nella chiesa di S. Domenico di Torino un'immagine con sullo sfondo la vittoria di Lepanto di Pietro Ravelli (sec. XVIII). A Chieri, in S. Domenico, la Vergine che consegna il Rosario a s. Domenico ed in basso il pontefice insieme a imperatori e re, opera di Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo. Anche nella chiesa di S. Corona in Vicenza, nella cappella del Rosario, G. B. Maganza (1509-1589) contemporaneo del Ghislieri, lo dipinse in una Lega stretta contro il Turco; in quella di S. Domenico di Perugia vi è una pala con s. Pio V che consegna la terra di Roma come reliquia all'ambasciatore del re di Polonia, di Giuseppe Laudati (1660-1737), mentre due tele e quattro ovali hanno episodi della sua vita, opera di Mattia Bettini da Città di Castello (1666-1727) con la collaborazione di Giacinto Boccanera (1666-1746).

A Venezia, nella chiesa dei Gesuiti o S. Maria del Rosario troviamo un'opera di Sebastiano Ricci (Rizzi, 1659-1739) dove Pio V è insieme a s. Pietro martire e a s. Tommaso d'Aquino e in quella di S. Domenico di Cesena, un'effigie di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d'Arpino (1541-1640), che dipinse anche una Madonna del Rosario, ove insiemea s. Domenico e ad una folla di supplichevoli appare s. Pio V.

A Lucca, nella chiesa di S. Romano, troviamo una tela di G. DomenicoLombardi (1682-1725), indicata come un miracolo di s. Pio V, ma che reputo trattarsi dell'Adorazione del S.S. Nome di Gesù. E a questo proposito, all'Escorial vi è un dipinto di El Greco che Antony Blunt pensa sia L'allegoria della Santa Lega dove sarebbero rappresentati Filippo II, Pio V, il doge Mocenigo, don Giovanni d’Austria e Marc'Antonio Colonna; inoltre un cardinale, forse s. Carlo Borromeo. Jose Camon Aznar dice trattarsi dell'Adorazione del nome di Gesù, che sembra più probabile ed è chiamato anche il Sogno o la Gloria di Filippo II.

Nella Biblioteca dell'Escorial vi è un disegno in cui il pontefice presiede il Concilio di Trento: il papa è in mozzetta e camauro a mezzo busto. Interessanti sono due tele custodite nel Conservatorio di S. Nicolò in Prato (Firenze) riguardanti il miracolo della moltiplicazione della farina inun buratto nel monastero domenicano di S. Clemente.

A Roma l’iconografia di Pio V è maggiormente diffusa. Nel convento di S. Sabina, nella cella dove si ritirava, opera di DomenicoMuratori (1662-1749), vi è una pala di altare in cui il papa è genuflesso, in mozzetta e camauro, davanti al Crocifisso. Nella stessa cappella si trovano altriquattro dipinti del Marliani,scolaro di Bernardino Capi (1522-1591) che rappresentano: la liberazionedi un’ossessa, la consegna della terra di Roma come reliquia all’ambasciatore di Polonia, s. Filippo Neri che profetizza al Ghislieri il papato; il papa che in visione vede la vittoria di Lepanto. Nella chiesa di S. Maria sopra Minerva, Andrea Procaccini (1671-1734) dipinse s. Pio che eleva il Crocifisso sul Turco e Lazzaro Baldi (1623 o 24-1703) il papa orante davanti al Crocifisso che si anima sotto i suoi sguardi, o il solito miracolo in cui il Cristo ritrae i piedi. Anche nel chiostro troviamo un grande affresco con la Madonna del Rosario e Pio V che contempla la scena del combattimento a Lepanto in una carta spiegatagli da un angelo, di Gianluigi Valesio (1579 o 1561-1623). Nella chiesa di S. Silvestro al Quirinale, nella pala dell'altare della Catena, ancora abbiamo con s. Pio V il card. Alessandrino, opera di Giacinto Gimignani (1611-1681).

Data l'opera indefessa in difesa della fede da parte del Ghislieri, la S. Congregazione della dottrina della Fede, conserva varie opere ragguardevoli.
Non bisogna tralasciare le memorie che di lui volle lasciare lo stesso pontefice Sisto V, che elevò il grande mausoleo in S. Maria Maggiore, e fece dipingere, in una lunetta del salone sistino della biblioteca Vaticana (1585-1590), la scena della traslazione del suo corpo da S. Pietro alla basilica dell'Esquilino, da Giovanni Guerra (1540 o 1544-1618?) e da Cesare Nebbia (1512-1590). Ancora nella Galleria della medesima Biblioteca Vaticana
è rappresentato s. Pio V che fa trasportare da Avignone centocinquantotto manoscritti. Nella cappella, poi, detta di S. Pio V in Vaticano, è conservata una statuetta del nostro santo, come pure nel Museo Cristiano Vaticano, un fermaglio di cappa con la sua effigie del sec. XVI.

Ultima nel tempo, l'opera in mosaico sulla facciata della recente chiesa parrocchiale dedicata al grande pontefice in Roma, di Joseph Strachota (1911), compiuta nel 1954, che rappresenta la Madonna del Riposo nel centro e a sinistra, a mezzo busto, il papa in mozzetta e camauro rossi con le mani giunte e il rosario, e a destra un guerriero crociato; in lontananza, la battaglia di Lepanto. 

 

 

 

Per approfondire, leggi qui la voce "Pio V" curata da Simona Feci per l'Enciclopedia dei Papi della Treccani.