Storia del territorio
Il territorio della nostra Parrocchia fa parte del 13° (ex 18°) Municipio ed è compreso tra due grandi vie di comunicazione che collegano una vasta periferia ad ovest della città, la Via Aurelia e la Via Gregorio VII. Questa zona conserva nella sua struttura una condizione di passaggio che ha sempre avuto fin dall'antichità. Già gli Etruschi, infatti, tracciarono una prima rete viaria che dalle città vicine arrivava fino all'isola Tiberina passando per il Colle Vaticano, attraverso "percorsi di crinali" lungo i quali essi facevano passare materiali per costruzioni prelevati dalle colline a noi vicine: Gelsomino, Monte del Gallo, Valle dell'Inferno, Monti di Creta, ricche di sabbia, argilla e di fornaci. Per queste vie carovaniere passarono anche scambi commerciali che si servivano dell'ansa del Tevere vicino all'Isola Tiberina.
In quel tempo la nostra zona era quasi disabitata e poco coltivata. In epoca romana fu costruita su quegli antichi tracciati, ristrutturandoli, la via consolare Aurelia che fu prolungata lungo la costa tirrenica. Nel nostro territorio la Via Aurelia fu divisa in due percorsi: la biforcazione fu fatta a Valcannuta: l' "Aurelia vetus" proseguiva verso il Gianicolo, in prossimità della Porta San Pancrazio e l' "Aurelia nova" entrava nella città deviando verso il Vaticano. La nostra zona continuò perciò ad essere territorio di passaggio. In quei tempi si continuò ad estrarre argilla e sabbia per la produzione di vasellame e laterizi, mentre il territorio si popolava di insediamenti suburbani in relazione alla presenza della via consolare. Di questi sono state trovate tracce insieme con un tempietto funerario romano probabilmente costruito all'epoca dell'Imperatore Adriano. Accanto a queste aree funerarie romane sono stati trovati diversi gruppi di gallerie cimiteriali cristiane della zona comprese tra la Chiesa di San Pancrazio e la Villa Doria (dove c'è ed è visitabile una vera Necropoli) e proprio nel territorio della nostra Parrocchia il Cimiterio di Calepodio con entrata da Via del Casale di San Pio V e da Via Card. Pacca. Questo è il più antico cimitero della Via Aurelia e accolse il Papa Callisto ucciso nel 222 d.C.
Durante la decadenza dell'Impero romano anche la nostra zona decadde: la Via Aurelia in alcuni tratti divenne impraticabile e per l'abbandono delle opere idrauliche si formarono paludi e acquitrini. Le antiche ville romane ormai non erano più luoghi di riposo e di ozi e le terre rimasero incoltivate. I resti delle ville diventarono zone fortificate di difesa. E' probabile però che il passaggio dei pellegrini continuasse anche in quei tempi, certamente usando percorsi alternativi. Quando agli inizi del Medio Evo, sorse sul Vaticano una basilica in onore di San Pietro, si formò intorno ad essa un Borgo e durante il Pontificato di Leone IV (847-855) vennero costruite le mura leonine. In quello stesso periodo nel nostro territorio molte attività umane e produttive rinacquero, fu costruita la Porta Cavalleggeri e il Borgo dei Fornaciari, prova evidente della ripresa del lavoro delle fornaci. Si riassestarono anche le strade e le torri d'avvistamento (Torre Rossa, Tor dei Papi) e le comunicazioni tra il Vaticano e la nostra zona.
In seguito, quando il potere dei Papi si affermò maggiormente (dal 1400 al 1600) nacquero nella nostra zona molte ville costruite da nobili, vicini alla Curia, da Vescovi e Cardinali. Erano residenze raffinate e contenevano anche piccoli santuari: Villa Doria, Villa Carpegna, Villa Sacchetti. Queste ville suburbane ma non lontane dal Vaticano erano le residenze preferite dai loro nobili padroni dopo quelle del centro storico di Roma. Esse erano luoghi di riposo e di svago ma anche zone di coltivazioni, locande, cappelle, oratori anche per permettere l'incontro e la preghiera degli abitanti che erano pochi e per lo più contadini.
Questa situazione viaria e abitativa rimase così quasi del tutto agricola, fino agli inizi del '900, con l'Oratorio della Madonna del Riposo all'incrocio di due strade, luogo d'incontro e di preghiera. Vi arrivava, fin dagli inizi del secolo scorso, un tram, il 233 che trasportava abitanti della Roma divenuta capitale, in cerca di prati e di osterie. Chi è vissuto e vive ancora nel nostro territorio ricorda giochi liberi all'aperto e nelle strade, nei prati, nelle "marrane" (ce n'era una alla fine delle scalette che scendono verso Via Gregorio VII), in un territorio dove c'erano pochissime abitazioni e dove tutti si conoscevano. C'era una sola scuola a Via dei Gozzadini, le suore Trinitarie abitavano vicino alla chiesetta. Il funzionamento della campana della chiesa era affidato ai bambini della zona che si divertivano a suonarla a volte più a lungo del dovuto. La Via Madonna del Riposo era una via molto stretta che sbucava su una piazzetta e, al posto della pasticceria e dei palazzi vicini c'era un campo pieno di ulivi. Poi furono costruite la chiesa e la scuola elementare e media.
Questa è in breve la storia del nostro territorio, un pezzo di Roma ancora oggi zona di passaggio ma non troppo lontano dal centro di Roma. Noi che ci abitiamo abbiamo però un privilegio: alzando gli occhi verso la strada su cui sono passati nei secoli tante generazioni di uomini e ora purtroppo invasa da automobili, motorini e smog, possiamo vedere, all'altezza del nostro quartiere la cupola di San Pietro. E questa vista non è poca cosa.
testo di Rachele Filippetto (tratto da Una Chiesa viva da 50 anni nel quartiere Aurelio, a cura di Luigi Storto e Rachele Filippetto, Roma 2002)
Prima che costruissero la Piazza San Pio V e la via Madonna del Riposo c'era, sulla sinistra, una vecchia casetta diroccata. Su di essa c'era una piccola edicola di una Madonna "scorticata" che però sorrideva, come scrive in questa bella poesia una vecchia signora, Emilia Venier, che la vedeva dalla sua casa.
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Dal mio balconcino Framezzo ar càosse de ste costruzioni che vargheno mijoni o povera casetta sgangherata sei na nota stonata. Nella nicchia che ciai sulla facciata ce sta na Madonnella scorticata che fa alla gente un soriso amoroso: dev'esse la Madonna del Riposo. Chi è che po' sapè quant' anni ciai quante miserie hai visto e quanti guai? Forse quarcuno se cavò er cappello Quanno viaggiava sopra er somareIlo! Da quella nicchia, o cara Madonnina, quer ber soriso è na cosa divina. Quanno dico er rosario io guardo a te e tu er soriso me lo manni a me. Emilia Venier |
Ecco come si presentava Piazza Irnerio a metà degli anni '50 del secolo scorso:
Qui è riconoscibile, al centro, la stazione dell'acquedotto, tutt'ora esistente (dietro l'attuale edicola) Il bar in piazza, tradizionale luogo di ritrovo
Queste immagini si riferiscono alla costruzione della "Domus Mariae" dell'Azione Cattolica Italiana, che ricadeva originariamente nel territorio della Parrocchia:
La posa della prima pietra (3 marzo 1951) L'edificio completato e che verrà definitivamente inaugurato l'8 maggio 1955
In occasione della visita di papa Giovanni Paolo II a San Pio V, avvenuta il 28 ottobre 1979 (vai alla pagina Visita di Giovanni Paolo II), l’Osservatore Romano pubblicò un articolo di Carlo De Lucia di presentazione del quartiere e della parrocchia, dal significativo titolo “Un quartiere cerca l’anima”:
Come tutti i recenti quartieri di Roma, l’Aurelio è cresciuto troppo in fretta. Solo quando i terreni edificabili erano spariti, sepolti sotto una valanga di cemento, ci si è resi conto che mancavano una quantità di cose che pure erano necessarie ad un sereno e civile svolgimento della vita sociale. Scuole, ospedale, un adeguato mercato rionale, spazi verdi, centri ricreativi e culturali, al limite anche strade capaci di smaltire il grosso traffico prodotto dalla fittissima popolazione di questo e dei quartieri ulteriori; in poche parole tutto quello che qualifica in senso positivo la vita cittadina è qui, all’Aurelio, assente.
In compenso la crescita della città aveva distrutto in gran parte gli immensi spazi verdi che si aprivano tra la via Aurelia antica, la via Aurelia, la Valle Aurelia fino al limitare del Pineto. I Monti di Creta erano stati trasformati in zona residenziale punteggiata da palazzine eleganti, mentre dalla parte opposta del quartiere la Valle dell’Inferno – celebre per le sue fornaci di laterizi – si trasformava in un inferno molto meno metaforico, invasa com’era da enormi palazzoni frutto oltre che della speculazione edilizia anche della mancanza di cultura urbanistica o, meglio, urbana.
Vittime di questa situazione furono e sono oltre settantamila persone: le esigenze della vita hanno trasformato l’Aurelio in un grande centro di commercio, uno dei maggiori polmoni commerciali di Roma, come testimonia tra l’altro la fittissima presenza di uffici bancari e assicurativi, ma la qualità della vita non ne ha tratto giovamento. È vero che problemi acuti di povertà non sono presenti, ma è anche vero che non si vive di solo pane.
Simbolo struggente e malinconico della trasformazione del territorio e della vita che vi si svolgeva è una chiesetta intitolata alla Madonna del Riposo. Quella che una volta era meta di semplici e devoti pellegrinaggi popolari, a poche centinaia di metri da Porta Pertusa, e al contempo luogo d’incontro dei romani nei giorni festivi, è diventata un semplice spartitraffico, posta com’è alla biforcazione tra la Via Aurelia e la Via della Madonna del Riposo e raggiungerla a piedi è un’impresa che a volte può essere pericolosa vista la gran mole di traffico che vi si sviluppa ai fianchi. Eppure quella chiesetta e la venerata immagine della Madonna che vi si conserva erano talmente celebri da aver dato il nome a una zona tra le più note di Roma.
Nel 1952, quando fu eretta la parrocchia di S. Pio V, il quartiere praticamente non esisteva ancora: lungo la Via Aurelia, che era la strada di collegamento delle borgate esterne con il centro della città, sorgevano le case di innumerevoli comunità religiose che si estendevano anche sulle sue diramazioni, poche le case di abitazione che ospitavano un esiguo numero di famiglie.
L’animazione religiosa del quartiere – che in questo non è dissimile da tanti altri quartieri romani – risultò subito assai ardua. La mancanza di un tessuto connettivo, di centri di produzione, di dispersione di tante energie per raggiungere quotidianamente il posto di lavoro o la scuola, la vita grigia e anonima che vi si conduceva, sono rimaste in eredità agli abitanti di oggi. La situazione ambientale – è inutile e dannoso nascondercelo – condiziona gravemente il lavoro pastorale e lo rende difficilissimo. Il disinteresse, l’egoismo, l’anonimato sono le corazze dietro cui si nascondono anche i migliori cittadini, esacerbati dalla quotidiana lotta per conservare la piccola fetta di benessere faticosamente conquistata. Le privazioni materiali non esistono più, ma l’anima si è rinseccchita.
Il grosso problema che si trovò di fronte il primo parroco di S. Pio V, Don Orlando Picchiantani, fu quello di iniziare la costruzione della comunità parrocchiale, compito immenso a causa della condizione già delineata: in un quartiere che di giorno, per lavorare e per studiare, si trasferiva in altre zone di Roma era pressoché impossibile impiantare una comunità di persone disposte a vivere in modo significativo e non superficiale il Vangelo. Si aggiunga che la vita religiosa era in una certa misura “disintegrata” dal centro istituzionalmente unitario per l’enorme presenza di comunità religiose – una cinquantina, tra cui diciotto case generalizie e provinciali, sette collegi e noviziati, quattro scuole e cinque cliniche rette da religiosi – alle quali gli abitanti del quartiere facevano riferimento per le loro esigenze spirituali. Ancora oggi, pur con il recente riordinamento della vita pastorale del quartiere che ha portato alla erezione della nuova parrocchia di S. Maria Immacolata di Lourdes al Largo Boccea, il carattere policentrico della vita religiosa dell’Aurelio è testimoniato dalla presenza di un elevato numero di luoghi sussidiari di culto a fianco delle parrocchie.
Questa caratteristica – se rende in buona misura possibile la frequenza alla Messa e ai sacramenti – è nello stesso tempo ostacolo alla costruzione della comunità. Le difficoltà pastorali della parrocchia sono state sempre ben presenti agli stessi responsabili che giunsero nel 1975 a creare quello che doveva essere il punto di incontro, di coordinamento e di propulsione per le realtà parrocchiali, un Consiglio che “forse con modestia, forse con poco coraggio abbiamo voluto chiamare della Comunità Parrocchiale anziché Pastorale” secondo le parole dette da un esponente del Consiglio al Cardinale Vicario durante un incontro di due anni fa. Nel Consiglio non sono quasi presenti le comunità religiose, l’unica rappresentata è quella delle Suore Trinitarie che a poche decine di metri dalla chiesa parrocchiale conducono una scuola elementare e media molto apprezzata nel quartiere. La loro opera si svolge in grande armonia con l’attività della parrocchia ed è prevalentemente rivolta all’educazione religiosa dei giovani.
Per gli attuali ventiduemila abitanti della parrocchia il lavoro pastorale del Parroco, Don Edoardo Leboroni Pierozzi, dei due vice Parroci, Don Virgilio La Rosa e Don Arnaldo Pompei, di Don Carmelo Giarratana e di Don Carlo Rocchetta, è incentrato prevalentemente sulla educazione umana e cristiana. È un lavoro di fondo difficile da condurre, ma è la stessa realtà pastorale che lo ha suggerito. La parrocchia di S. Pio V, in ventisette anni di vita, si è guadagnata una buona fama in tutto il quartiere per le sue iniziative culturali dedicate agli adulti e ai giovani. Incontri e dibattiti si sono verificati durante le assemblee generali del Sinodo dei Vescovi con Pastori di tutti i continenti, nulla delle complesse realtà religiose, umane e politiche dei diversi Paesi è stato sottaciuto; in questo senso, particolarmente significativo fu un incontro con il Cardinale Tomasek, Arcivescovo di Praga. Profittando della vicinanza della parrocchia della sede della CEI, anche l’allora presidente della Conferenza, il Cardinale Poma, partecipò ad un incontro con i fedeli di S. Pio V. Negli ultimi anni, sincero amico della parrocchia si è dimostrato l’Arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla, che più volte si è recato per amministrare cresime e per conversare con i giovani dell’Aurelio. Recentemente si è recato a S. Pio V il direttore della Civiltà Cattolica, p. Bartolomeo Sorge, per parlare ai parrocchiani della Redemptor hominis, la prima enciclica di Papa Wojtyla.
Un particolare accento riguardo all’apertura ai problemi del mondo viene posto sulla conoscenza delle questioni ecumeniche: durante l’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani che si svolge dal 18 al 25 gennaio di ogni anno si sono spesso svolti in parrocchia incontri con pastori e con militanti delle Chiese riformate e con esperti del Segretariato per l’Unione di Cristiani. Recentemente un gruppo di giovani della parrocchia si è recato per qualche tempo a Taizé per partecipare alle iniziative di preghiera e di reciproca conoscenza dell’importante centro ecumenico; tornati a casa, quei giovani ripetono settimanalmente, e la comunicano ai coetanei, quella meravigliosa esperienza.
I gruppi giovanili sono quelli forse maggiormente vivi e dinamici, insofferenti ad un tipo di vita che li emargina e li soffoca: molti ragazzi e giovani adulti hanno trovato nella parrocchia quel centro di aggregazione che altrimenti mancava. Oltre alla classica presenza nell’oratorio e nell’associazione scoutistica, sono molti i giovani impegnati nella catechesi ed in quello che è il contributo più commovente che essi danno alla parrocchia, il gruppo giovanile di assistenza agli handicappati. Con l’aiuto di competenti, questi giovani si dedicano all’assistenza dei fratelli gravemente menomati, li prelevano dalle loro abitazioni e li conducono in parrocchia, dove con loro partecipano alla liturgia. È un gesto di solidarietà e di abnegazione che ha contribuito fortemente alla coesione intorno alla parrocchia di numerose famiglie.
Se l’edificazione della comunità comporta un lungo cammino, è su questi gesti di solidarietà e di amore cristiano che riposa la speranza concreta di giungere un giorno alla meta. E quel giorno sarà importante non solo per la società cristiana ma anche per la società civile di questo quartiere.
Carlo De Lucia