La chiesetta della Madonna del Riposo

 

È un piccolo ma antico oratorio mariano, sopravvissuto all'intera ur­banizzazione della zona. Certe fondamenta di probabile origine ro­mana trovate nei muri della piccola Chiesina di Santa Maria del Ri­poso, potrebbero avvalorare l'ipotesi, avanzata da alcuni scrittori, che nei primi secoli del millennio, in quella zona sopra i colli vaticani, ol­tre a tante vigne, vi fosse anche un'edicola dedicata alla Santa Vergi­ne che la gente chiamò "Madonna del Riposo"; riposo perché la loca­lità veniva dopo una discreta salita e quel tratto pianeggiante invitava ad una sosta. Questa tesi è, in un certo senso, avvallata anche da uno studio di Pietro Lagorio, il quale sostiene che nella zona vi fosse un antico cimitero, poi trasferito a San Pietro.

Il nome "Santa Maria del Riposo" noi lo troviamo fin dal 1409, citato in un diario di Pietro del­lo Schiavo. Qualcuno, non sappiamo chi, proprietario della vigna do­ve era appoggiata l'edicola, constatata la devozione che suscitava quell'immagine, pensò bene di costruire sul posto una chiesetta, chie­setta che venne inserita nel 1426 da Nicola Signorili in un elenco del­le Chiese di Roma che aveva censito per incarico del Papa Martino V. In quei lontani tempi doveva essere una piccola cosa, di proprietà pri­vata, finché verso i primi del '500 venne donata all'Ospedale di San­to Spirito.

Cinquanta anni più tardi il salto di qualità, per opera di un Papa che tanto fece per Roma, Papa Pio IV, il quale decise di dare più degna dimora a quella Madonna a cui era affezionato frequentando la chie­sina quando usciva dalle mura vaticane per brevi passeggiate. Così demolì le mura ormai vetuste della primitiva chiesina e fece costrui­re su quelle rovine un piccolo, ma elegante Oratorio che aveva lo sti­le raffinato di un sacello, come a quei tempi se ne costruivano nelle campagne dell'Umbria e dell' alto Lazio.

Il suo successore, Pio V, completò l'opera con lavori che non si è riu­sciti ben a identificare, forse lo stesso avancorpo che fu costruito at­taccato al sacello per dare la possibilità alla gente di campagna di partecipare alle funzioni religiose. L'interno del sacello era tutto affrescato con l'immagine della Santa Vergine al centro e dei quattro Evangelisti posti in nicchie nei quattro la­ti e la cupoletta con angeli in trionfo e la colomba dello Spirito Santo. Da quel momento la chiesina passò di mano in mano finché nel 1930 fu donata al Vicariato di Roma e divenne un Oratorio mariano a tutti gli effetti affidato prima a mons. Claudio Morino, che tanto fece per salvarla dalla distruzione minacciata dall'intensa e selvaggia ur­banizzazione della zona, e poi al parroco di San Pio V, monsignor Luigi Storto. E proprio a monsignor Storto si deve l'ini­ziativa di restaurare nel 1997 l'Oratorio che anni, umidità e traffico intenso aveva mal ridotto, specialmente nelle parti pittoriche.

 

 

Il 23 dicembre 2000 il rettore della Chiesa, S.Ecc. Mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo e Vicegerente della Diocesi di Roma, consacrava la chiesa e l'altare in una solenne celebrazione di dedicazione dell'Oratorio, coadiuvato dal parroco e dagli altri sacerdoti collaboratori.

 

 

 

 

 

 

La struttura architettonica della Chiesa è costituita da un nucleo principale più antico, di forma semicircolare, che attualmente riveste la funzione di abside-presbiterio ed è collegato attraverso un'arcata a tutto sesto a una piccola navata rettangolare costruita in epoca suc­cessiva come ampliamento della cappella originale. La zona semicircolare, con volta a calotta, presentava una decora­zione di tipo cinquecentesco con due nicchie incorniciate con rilievi in stucco entro cui erano raffigurate a tempera immagini dei Santi Evangelisti Luca e Giovanni, e poste ai lati dell'edicola centrale che racchiude una "Madonna con Bambino" dipinta a fresco.

 


         

 

 

I quattro corpi di fabbrica costruiti in epoche diverse:

1. Il Sacello costruito nel 1561

2. L'avancorpo (1572-1650)

3. Prima sacrestia (1572-1650)

4. Seconda sacrestia (1848-1860)

 

 

 

 

 

 

Nella volta semisferica si trovava un dipinto raffigurante una "Incorona­zione della Vergine", molto danneggiato e ampiamente manomes­so. La Madonna sta al centro e sopra, da una parte il Padre e dall'al­tra il Figlio, nell'atto di mettere la corona sul capo di Maria; al cen­tro la colomba, figura dello Spirito Santo. Sotto una fascia con ani­me tribolanti nelle fiamme dell'inferno o del purgatorio. Tutte le rimanenti superfici dell'abside e della navata erano ricoperte da decorazioni a tempera con cornici e finti marmi di epoche più recenti, spesso stratificate in livelli sovrapposti. Notevoli i danni provocati nel tempo dalle infiltrazioni di acqua pio­vana, a cui si è posto rimedio nel corso dei secoli con ridipinture e ri­facimenti che hanno alterato quasi completamente la lettura degli af­freschi cinquecenteschi al punto da rendere anche piuttosto difficile l'individuazione della loro consistenza e del loro stato di conserva­zione. Nelle zone basse si notavano sbilanciamenti dovuti con ogni probabilità ad afflorescenze saline causate da vecchi problemi di u­midità di risalita. Anche gli stucchi apparivano completamente ridi­pinti con scialbature e strati di porporine che ne appesantivano note­volmente il modellato e la cromia.

Le decorazioni a tempera, spesso più volte riprese e stratificate, mo­stravano nel loro complesso uno strato di conservazione piuttosto precario con decoesionamenti, sollevamenti e cadute di colore, non­ché ritocchi e ridipinture che rendevano difficile l'individuazione di un impianto decorativo unitario. Sempre a tempera erano anche i dipinti delle altre due figure dei Santi Evangelisti, Marco e Matteo, entro delle nicchie create lungo la navata, anche loro di fattura tardo-ottocentesca, realizzati a imita­zione di quelli cinquecenteschi.

Di fronte a questa situazione è partito il lavoro di restauro che ci ha dato grandi soddisfazioni portandoci alla scoperta di affreschi ori­ginali, sotto le pitture posticce dei due Evangelisti e sotto l'incoro­nazione della Madonna nella volta. Sono affreschi che noi stimiamo coevi al quadro della Madonna, eseguiti cioè verso la fine del '500. Siamo così partiti dalle prime intuizioni, dai primi saggi, fino all’emozione della scoperta che ci ha permesso di riportare alla luce la cromia originale.  Abbiamo quindi studiato le caratteristiche dei pigmenti e dei leganti per adottare le giuste scelte di restauro conservativo, mentre parallelamente si ricercava sempre il valore indi­ziario di ogni scoperta per ricostruire la storia lacunosa del piccolo complesso religioso.

 

La navata e la cappella prima e dopo il restauro

   

 

 

L'inizio della navata e la porta d'ingresso prima e dopo il restauro

   

 

 

Nel restauro l'intento è stato quello di rispettare e mantenere sempre l'originale senza intervenire sulle lacune che, via via, si presentavano, rispettando l'opera d'arte degli antichi maestri che, seppur non sia­mo riusciti a scoprire i loro nomi, immaginiamo trattarsi di figure professionali di una certa dimensione. I restauri hanno interessato anche le strutture murarie, sia per elimi­nare il più possibile la risalita dell'umidità, ma anche per revisionare i tetti di copertura in molte parti assai compromessi. Non si è dimen­ticato infine, di cogliere l'occasione per aggiornare il presbiterio alla nuova liturgia con la costruzione di un piccolo altare a struttura snel­la, l'androne e la sede del celebrante. Una nuova illuminazione ha cercato di dare maggior risalto alle belle pitture del '500 e, infine, l'istallazione di un sistema di allarme permetterà di controllare meglio la sicurezza del sacello.

La piccola, ma tanto amata chiesina di Santa Maria del Riposo è co­sì tornata nella sua semplice ma raffinata bellezza, al culto della gen­te del quartiere che in quel piccolo sito di pace ritrova quel legame spirituale con la Vergine Santissima, come fin dai tempi assai lontani riusciva a trovarlo la povera gente di campagna, unico conforto alla lo­ro dura vita quotidiana.

testo di Cinzia Sebastiani Zoli  (tratto da Una Chiesa viva da 50 anni nel quartiere Aurelio, a cura di Luigi Storto e Rachele Filippetto, Roma 2002)