Per leggere bene la “Fratelli tutti”, prima ancora che dal contenuto, bisogna partire da un gesto. Quello che il Papa ha compiuto recandosi ad Assisi il 3 ottobre scorso, per firmare la sua terza enciclica sulla tomba di San Francesco. Quel gesto dice il profondo radicamento francescano di queste pagine e mette ancor di più tutto il pontificato di Jorge Mario Bergoglio sotto la stella polare di un annuncio del Vangelo vissuto sine glossa, proprio come fece il Poverello di Assisi.
È infatti un documento, la "Fratelli tutti", che riassume e rilancia l’insegnamento di Papa Francesco sulla Cattedra di Pietro. Con in più i riferimenti che aprono ulteriormente le porte della Chiesa a personaggi del nostro tempo, non necessariamente cattolici, come Martin Luther King, Desmond Tutu, e neanche necessariamente cristiani come il Mahatma Gandhi. Anzi, da questo punto di vista, centrale appare il “Documento sulla fratellanza umana” firmato da Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar nel febbraio 2019. Una cosa impensabile solo fino a pochi decenni fa. A testimonianza di quanta spinta abbia dato il Concilio - e gli ultimi Pontificati in particolare - sulla strada della pace e di un diverso modo di rapportarsi tra gli uomini, anche di fedi diverse.
L'encilica - nei suoi otto capitoli più una breve introduzione - affronta i problemi del nostro mondo proprio da questa prospettiva francescana e conciliare insieme, mostrando concretamente come per risolvere le questioni più complesse e urgenti occorra una profonda conversione del cuore: smettere di vedere nell’altro un nemico e tornare a considerarlo un fratello.
L’eco francescana è particolarmente avvertibile, ad esempio, nel secondo capitolo, dedicato alla parabola evangelica del Buon Samaritano. In una società malata che volta le spalle al dolore e che è “analfabeta” nella cura dei deboli e dei fragili, tutti siamo chiamati – proprio come la figura evocata da Gesù - a farci prossimi all’altro, superando pregiudizi, interessi personali, barriere storiche o culturali. Tutti, infatti, siamo corresponsabili nella costruzione di una società che sappia includere, integrare e sollevare chi è caduto o è sofferente. L’amore costruisce ponti e noi “siamo fatti per l’amore”, aggiunge il Papa, esortando in particolare i cristiani a riconoscere Cristo nel volto di ogni escluso. Esattamente come fece san Francesco.
Purtroppo la situazione odierna non è delle migliori. Nel primo capitolo dell’enciclica c’è il lungo elenco dei mali contemporanei. La manipolazione e la deformazione di concetti come democrazia, libertà, giustizia; la perdita del senso del sociale e della storia; l’egoismo e il disinteresse per il bene comune; la prevalenza di una logica di mercato fondata sul profitto e la cultura dello scarto; la disoccupazione, il razzismo, la povertà; la disparità dei diritti e le sue aberrazioni come la schiavitù, la tratta, le donne assoggettate e poi forzate ad abortire, il traffico di organi, le mafie e soprattutto quella “cultura dei muri” che favorisce il proliferare di tutto questo.
Il Papa indica perciò la strada della fratellanza. Che può offrire soluzioni anche a enormi problemi come il fenomeno migratorio, oggetto del quarto capitolo. L’altro diverso da noi è un dono ed un arricchimento per tutti, scrive Francesco, perché le differenze rappresentano una possibilità di crescita. Una cultura sana è una cultura accogliente che sa aprirsi all’altro, senza rinunciare a se stessa, offrendogli qualcosa di autentico. L’enciclica scende anche nel pratico offrendo consigli per gestire il flusso migratorio attraverso corridoi umanitari e altre misure necessarie. E sostanzialmente chiama in causa la buona politica cui è dedicato un intero capitolo, il quinto. “La migliore politica” è una delle forme più preziose della carità perché si pone al servizio del bene comune e conosce l’importanza del popolo, inteso come categoria aperta, disponibile al confronto e al dialogo. Ampia approvazione dunque per il popolarismo, ma un no netto al “populismo” che ignora la legittimità della nozione di ‘popolo’, attraendo consensi per strumentalizzarlo al proprio servizio e fomentando egoismi per accrescere la propria popolarità. La buona politica inoltre tutela il lavoro e quando aiuta veramente i poveri, non dà loro solo del denaro ma fa sì che possa condurre una vita degna mediante l’attività lavorativa. Compito della politica, inoltre, è trovare una soluzione a tutto ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali, come l’esclusione sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale; il lavoro schiavo; il terrorismo ed il crimine organizzato. Forte l’appello del Papa ad eliminare definitivamente la tratta, “vergogna per l’umanità”, e la fame.
Molti altri temi tocca l’enciclica. Invoca ad esempio una riforma dell’Onu, chiede una nuova dinamica nelle relazioni internazionali, ribadisce la necessità di porre fine per sempre alla pena di morte e riafferma i diritti umani, primo tra tutti quello alla libertà religiosa. Ma c’è un elemento di fondo che fa da scenario a tutti questi elementi: l’arte dell’incontro, che spesso diventa il miracolo della gentilezza. Una persona gentile, scrive Francesco, crea una sana convivenza ed apre le strade là dove l’esasperazione distrugge i ponti. In sostanza Francesco invita tutti gli uomini a diventare artigiani della pace e dispensatori di perdono (che non significa dimenticare, anzi tragedie come la Shoà o la distruzione di Hiroshima, devono restare ben impresse nella memoria, per non ripeterle mai più). Perdono non vuol dire impunità, ricorda il Papa, ma rinunciare alla forza distruttiva del male ed al desiderio di vendetta.
L’enciclica tocca uno dei suoi punti più accorati nel grido “mai più la guerra fallimento dell’umanità”. Ma soprattutto, attraverso l’esempio di Charles de Foucauld, il “fratello universale”, ci svela infine il suo piccolo grande segreto. Non è un documento, questo, pensato e scritto per i grandi del mondo, ma per ognuno di noi. Anche, perché no, per i parrocchiani di San Pio V e ogni uomo di buona volontà (o, come saremo chiamati a dire tra breve nel Gloria, "amato dal Signore"). Perché ognuno, ci dice in pratica il Papa, costruendo la sua parte di fratellanza, può contribuire ad un mondo più fraterno. Nella stessa maniera in cui una tessera contribuisce all’intero mosaico. Noi cominciamo dalle strade del nostro quartiere.
Mimmo Muolo
giornalista di “Avvenire”
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