(Mc 9,30-37) Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». 

Attenzione. Nella nostra cultura “servire il bambino” potrebbe essere equivocato con il “dargli potere”, soddisfare i suoi capricci, concedergli tutto; e sarebbe stravolto il senso del servizio: perché il genitore permissivo che non sa dire di no, non serve altri che se stesso, “adora” la propria immagine presso il figlio. Ai tempi di Gesù, invece, l'essere bambino era una condizione del tutto priva d'importanza.

Il gesto di Gesù è perciò quanto mai sorprendente per gli schemi sociali allora comuni: mettere un bambino (probabilmente un figlio presente nella casa che ospita Gesù a Cafarnao, magari nella famiglia d'origine di Pietro) al centro dì un cerchio di adulti, abbracciarlo come gesto d'infinita accoglienza, è una vera azione profetica, rivoluzionaria. Perché di questo si tratta: come essere “primi” e non fare della propria posizione-ruolo-funzione un potere.

Gesù, infatti, non abolisce le “posizioni”: sarebbe un cieco andare contro la realtà; i primi devono accettare di essere primi, senza tentare di stravolgere i ruoli e di inventare pseudo democrazie del “tutti uguali;tutto è deciso dal come essere primi, cioè dalla logica del servizio.

Gesù ci sorprende di nuovo, come ci insegna Marco: per via, la sua via verso Gerusalemme, spiega ancora ai suoi che egli sarà messo a morte e che risorgerà. E loro non lo stanno a sentire: sono occupati a «distribuirsi i posti» in attesa degli eventi ultimi; se no, che l’hanno seguito a fare? Giunti alla tappa del viaggio, Gesù li interroga sul cosa si sono detti e loro tacciono come scolaretti colti «in castagna». Ci aspetteremmo un rimprovero, per lo meno un moto d’impazienza verso questi «duri di cuore» (che siamo noi). E invece Lui che - tra i suoi - non ama opporre un conflitto ad un altro conflitto, «sedutosi» li chiama a sè. E siamo sorpresi e grati per quel sedutosi. Non dimentichiamolo.

Lui ancora, ancora e ancora si siede in mezzo a noi e ci indica il servizio come modo di essere primi; in famiglia (come nella società) c’è chi occupa i primi posti, e Gesù non è cosi utopico e fuori dalla realtà dal volerli abolire. Ciò che egli dice, al solito, è radicale, alternativo, assolutamente nuovo (e scandaloso) per la logica mondana: «Chi è il primo serva gli altri».

E affinché non ci venga facile indossare il finto grembiule del servizio, ci indica il criterio inequivocabile del servizio: se il piccolo (il bambino, il non importante, il trascurato, il debole tra voi) è accolto, cioè abbracciato come Lui sta facendo, allora è servito. Poiché in quel piccolo - Egli dice - sono nascosto proprio io. Accolto, come fa una madre. Non occorre che lo sappia: ma se lo sa, rende onore al Risorto in mezzo a noi.

Don Donato

 

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Dio non si è stancato di noi.
Accogliamo la Quaresima come il tempo forte in cui la sua Parola ci viene nuovamente rivolta:
«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (
Es 20,2).
È 
tempo di conversione, tempo di libertà

(Papa Francesco)


 

 

 

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