Sei entrato in chiesa perché vuoi pregare. Fermati e trova il tempo per riposarti e riprendere speranza con questa preghiera. Ogni settimana un testo diverso di autori di varie tradizioni per aiutarti a ritrovare il gusto della preghiera silenziosa. Perché, diceva Sant’Agostino: «nutre l’anima solo ciò che la rallegra».

 

Prendi, Signore, e accetta

Prendi, Signore,
e accetta tutta la mia libertà,
la mia memoria, il mio intelletto,
e tutta la mia volontà,
tutto ciò che ho e possiedo;
tu mi hai dato tutte queste cose,
a te, Signore, le restituisco;
sono tutte tue,
disponine secondo la tua volontà.
Dammi il tuo amore e la tua grazia,
queste sole, mi bastano.

 

Sant'Ignazio di Loyola (1491-1556)

 

Una vita cavalleresca

Íñigo López de Loyola nacque nel 1491 ad Azpeitia, nei Paesi Baschi. Essendo un figlio cadetto, era destinato alla vita sacerdotale, ma la sua aspirazione era quella di diventare cavaliere. Suo padre lo inviò perciò in Castiglia, alla corte di don Juan Velazquez de Cuellar, ministro del re Ferdinando il Cattolico. La vita di corte formò il carattere e le maniere del giovane, che prese a leggere i poemi e a corteggiare le dame. Alla morte di don Juan, Íñigo si trasferì alla corte di don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, e al suo seguito partecipò alla difesa del castello di Pamplona, assediato dai francesi. Qui, il 20 maggio del 1521, fu ferito da una palla di cannone che lo rese zoppo per tutta la vita. La lunga convalescenza fu per lui l’occasione di leggere la Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine e la Vita di Cristo di Lodolfo Cartusiano, testi che influirono enormemente sulla sua personalità votata agli ideali cavallereschi, convincendolo che l’unico Signore che valeva la pena di seguire era Gesù Cristo.

 

Un pellegrinaggio provvidenziale  

Deciso a recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa, Íñigo fece tappa al santuario di Montserrat, dove fece voto di castità e scambiò le sue ricche vesti con quelle di un mendicante. Barcellona, da dove avrebbe dovuto imbarcarsi per l’Italia, era in preda ad una epidemia di peste, e Íñigo dovette fermarsi a Manresa. Questa tappa obbligata lo costrinse ad un lungo periodo di meditazione e di isolamento, durante il quale scrisse una serie di consigli e riflessioni che, rielaborati in seguito, formarono la base degli Esercizi Spirituali. Giunse finalmente in Terra Santa e avrebbe voluto stabilirvisi, ma il superiore dei Francescani glielo impedì, giudicando troppo povere le sue conoscenze teologiche. Inigo tornò quindi in Europa e intraprese gli studi di grammatica, filosofia e teologia, prima a Salamanca e poi a Parigi. Fu proprio nella capitale francese che cambiò il suo nome in Ignazio, in omaggio al Santo di Antiochia di cui ammirava l’amore per Cristo e l’obbedienza alla Chiesa, che sarebbero poi divenuti caratteri fondanti della Compagnia di Gesù. A Parigi Ignazio conobbe quelli che sarebbero divenuti i suoi primi compagni, fece con loro voto di povertà e progettò di recarsi nuovamente in Terra Santa, ma questo progetto sfumò a causa della guerra tra Venezia e i Turchi. Ignazio e i suoi compagni si presentarono perciò al Papa per obbedire ai suoi ordini. Il Papa disse loro: “Perché andare a Gerusalemme? Per portare frutto nella Chiesa, l’Italia è una buona Gerusalemme".

 

La Compagnia di Gesù

Papa Paolo III nel 1538 diede l’approvazione canonica alla Compagnia di Gesù che fu da subito animata da zelo missionario: i Preti Pellegrini, o Riformati (solo in seguito assunsero il nome di Gesuiti) vennero inviati in tutta Europa, e poi in Asia e nel resto del mondo, portando ovunque il loro carisma di povertà, carità e obbedienza assoluta alla volontà del Papa. Uno dei principali problemi che Ignazio si trovò ad affrontare fu la preparazione culturale e teologica dei giovani: per questa ragione formò un corpo di docenti e fondò diversi collegi che negli anni acquistarono una fama internazionale grazie all’altissimo livello scientifico e ad un programma di studi che venne preso a modello anche da Istituti scolastici non religiosi.

 

Roma
Per obbedienza al Papa, Ignazio rimase a Roma a coordinare le attività della Compagnia e ad occuparsi dei poveri, degli orfani e degli ammalati, tanto da meritare l’appellativo di “apostolo di Roma”. Non dormiva che quattro ore a notte, e continuò il suo lavoro e il suo impegno, nonostante le sofferenze, fino allo stremo delle forze. Morì nella sua povera cella il 31 luglio del 1556, e le sue spoglie sono conservate nell’altare del braccio sinistro del transetto della Chiesa del Gesù di Roma, uno dei monumenti più belli del Barocco romano.

 

 

Sei entrato in chiesa perché vuoi pregare. Fermati e trova il tempo per riposarti e riprendere speranza con questa preghiera. Ogni settimana un testo diverso di autori di varie tradizioni per aiutarti a ritrovare il gusto della preghiera silenziosa. Perché, diceva Sant’Agostino: «nutre l’anima solo ciò che la rallegra».

 

Sollevaci alle regioni della santa umiltà

O santo Spirito Paraclito,
perfeziona in noi l’opera iniziata da Gesù,
rendi forte e continua la preghiera che facciamo
a nome del mondo intero,
accelera per ciascuno di noi
i tempi di una profonda vita interiore;
da’ slancio al nostro apostolato,
che vuol raggiungere tutti gli uomini e tutti i popoli,
tutti redenti dal sangue di Cristo
e tutti sua eredità.

Mortifica in noi la naturale presunzione
e sollevaci alle regioni della santa umiltà,
del vero timor di Dio, del coraggio generoso.
Nessun legame terreno ci impedisca
di far onore alla nostra vocazione:
nessun interesse, per ignavia nostra,
mortifichi le esigenze della giustizia,
nessun calcolo riduca gli spazi immensi della carità
dentro le angustie dei piccoli egoismi.

Tutto sia grande in noi:
la ricerca e il culto della verità,
la prontezza al sacrificio fino alla croce e alla morte;
e tutto, infine, corrisponda
all’estrema preghiera del Figlio al Padre,
e a quell’effusione che di te,
o santo Spirito di amore,
il Padre e il Figlio vollero sulla Chiesa e sulle sue istituzioni,
sulle singole anime e sui popoli.

Amen!

 

San Giovanni XXIII (1881-1963)

 

A Roma il 3 giugno 1963, si spegne all’età di 82 anni Angelo Roncalli, divenuto papa di Roma nel 1958 con il nome di Giovanni XXIII. Era nato in una numerosa e povera famiglia di contadini della campagna bergamasca, dalla quale aveva imparato a riconoscere nella povertà una benedizione del Signore. Reso forte nella fede fin da giovane grazie alla semplice ma solida educazione ricevuta, Roncalli maturò già negli anni del seminario alcune intuizioni che faranno di lui un uomo profetico per tutte le chiese. Avviato dai suoi superiori alla carriera diplomatica, egli divenne nunzio in Bulgaria, poi a Istambul e a Parigi. Ovunque operò per la riconciliazione tra i cristiani, attingendo con rispetto ai tesori custoditi in ogni tradizione ecclesiale. In Turchia ebbe modo anche di interrogarsi riguardo alla presenza della chiesa in un mondo non cristiano. Eletto patriarca di Venezia nel 1953, egli affinò la sua visione della chiesa chiamata a essere povera e in ascolto dell’Evangelo, tesa a lavare i piedi degli uomini, e misericordiosa perché essa stessa generata dalla misericordia di Dio. Il 28 ottobre del 1958, Roncalli fu eletto a sorpresa vescovo di Roma. Giudicato un pontefice di transizione, papa Giovanni mostrò invece i frutti maturi della sua sensibilità pastorale. Nel gennaio del 1959 annunziò la convocazione di un concilio ecumenico, auspicando una nuova pentecoste su tutta l’assemblea dei credenti in Cristo. Papa Giovanni riuscì ad aprire, l’11 ottobre 1962, i lavori del concilio. Morì senza vedere i frutti della sua opera, ma nella pace e nella serenità dei poveri in spirito, lasciando un ricordo straordinario tra le genti di tutto il mondo.

Giovanni XXIII fu dichiarato beato da Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000.

Il 5 luglio 2013 papa Francesco ha firmato il decreto per la canonizzazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II che è avvenuta il 27 aprile 2014.

 

 

Sei entrato in chiesa perché vuoi pregare. Fermati e trova il tempo per riposarti e riprendere speranza con questa preghiera. Ogni settimana un testo diverso di autori di varie tradizioni per aiutarti a ritrovare il gusto della preghiera silenziosa. Perché, diceva Sant’Agostino: «nutre l’anima solo ciò che la rallegra».

 

Signore,
ti chiediamo che presto ci sia restituita la pace,
che rapido giunga il soccorso
a dissiparci le tenebre e i pericoli
che si manifesti il sovvertimento
annunciato ai tuoi servi:
la restaurazione della Chiesa di Dio,
la sicurezza della nostra salvezza.
Dopo le tenebre, la luce,
dopo la burrasca e la tempesta
la dolce serenità.

San Cipriano di Cartagine (Epistola 11,8)

 

  

Di Cipriano giovane sappiamo che è nato pagano a Cartagine intorno al 210. Battezzato verso il 245, nel 249 è vescovo di Cartagine. Nel 250 l’imperatore Decio ordina che tutti i sudditi onorino le divinità pagane (offrendo sacrifici, o anche solo bruciando un po’ d’incenso) e ricevano così il libello, un attestato di patriottismo. Per chi rifiuta, carcere e tortura. O anche la morte: a Roma muore martire papa Fabiano. A Cartagine, Cipriano si nasconde, guidando i fedeli come può dalla clandestinità.

Cessata la persecuzione (primavera 251) molti cristiani, che hanno ceduto per paura, vorrebbero tornare nella Chiesa. Ma quelli che non hanno ceduto si dividono tra indulgenti e rigoristi. Cipriano è più vicino ai primi, e con altri vescovi d’Africa indica una via più moderata, inimicandosi i fautori dell’epurazione severa. A questo punto le sue vicende s’intrecciano con quelle di Cornelio, un presbitero romano d’origine patrizia. Eletto papa a 14 mesi dal martirio di Fabiano, si trova di fronte a uno scisma provocato dal dotto e dinamico prete Novaziano, che ha retto la Chiesa romana in tempo di sede vacante. Novaziano accusa di debolezza Cornelio (che è sulla linea di Cipriano) e dà vita a una comunità dissidente che durerà fino al V secolo.

Da Cartagine, Cipriano affianca Cornelio e si batte contro Novaziano, affermando l’unità della Chiesa universale. Non è solo sintonia personale con papa Cornelio: Cipriano parte dall’unità dei cristiani innanzitutto con i rispettivi vescovi, e poi dei vescovi con Roma quale sede principalis, fondata su Pietro capo degli Apostoli. Ucciso in guerra l’imperatore Decio, il suo successore Treboniano Gallo è spinto a perseguitare i cristiani perché c’è la peste, e la “voce del popolo” ne accusa i cristiani, additati come “untori” in qualunque calamità. Si arresta anche papa Cornelio, che muore in esilio nel 253 a Centumcellae (antico nome di Civitavecchia). E viene definito “martire” da Cipriano, che appoggia il suo successore Lucio I contro lo scisma di Novaziano. Lucio muore però dopo un anno (254). Gli succede Stefano I, e durante il suo pontificato c’è uno strappo con Cartagine, per il battesimo amministrato da eretici e scismatici, che è valido per Stefano e nullo per Cipriano. Questi poi accusa Stefano di considerare ingiustamente il primato di Pietro come un diritto all’ingerenza continua nella vita delle singole Chiese. Il dissidio si estende pericolosamente, ma nell’agosto 257 papa Stefano muore, e intanto l’imperatore Valeriano ordina un’altra persecuzione. Cipriano viene mandato in esilio, dove apprende che il nuovo papa Sisto II è morto martire a Roma, col diacono Lorenzo. Liberato, può far ritorno a Cartagine; ma nel settembre 258 lo arrestano di nuovo, e il giorno 14 muore decapitato. In questo stesso giorno Cornelio e Cipriano sono ricordati per sempre insieme dalla Chiesa.

 

Sei entrato in chiesa perché vuoi pregare. Fermati e trova il tempo per riposarti e riprendere speranza con questa preghiera. Ogni settimana un testo diverso di autori di varie tradizioni per aiutarti a ritrovare il gusto della preghiera silenziosa. Perché, diceva Sant’Agostino: «nutre l’anima solo ciò che la rallegra». 

 

Calma tu le onde in questo petto

 Signore, calma tu le onde in questo petto, placa le tempeste!
Anima mia taci, che la Divinità possa agire in te.
Anima mia mettiti in pace, possa Dio riposare in te, la sua pace ti possa coprire
con la sua ombra.
Sì, Padre, tanto spesso noi abbiamo provato che il mondo non ci può dare la pace.
Ma tu facci sentire che tu puoi dare la pace.
Fa’ che sentiamo la verità della promessa che la tua pace il mondo intero non ce la può togliere
(Gv 16,22).

 

SØREN KIERKEGAARD (1813-1855)
(dal Diario, 1° gennaio 1839)

 

 

L'11 novembre del 1855 si spegne a soli quarantadue anni nella nativa Copenaghen Søren Aabye Kierkegaard, filosofo, teologo luterano e testimone di una spiritualità radicalmente evangelica. Ereditata in gioventù dal padre una marcata simpatia per i grandi esponenti del pietismo tedesco, alla morte del genitore, Søren entrò in possesso anche di un lascito cospicuo che gli permise di dedicarsi alla ricerca intellettuale e di pubblicare a proprie spese i libri - moltissimi - che scriverà nella pur breve esistenza. Formatosi in un mondo pervaso dal pensiero hegeliano, Kierkegaard si ribellò interiormente ai suoi maestri e prese a ricercare una verità diversa da quella dell'idealismo, proponendo un accesso alla verità attraverso la «via della vita». La verità cristiana è infatti per Kierkegaard non quella derivante dall'unità razionale di un sistema di pensiero, bensì quella derivante dall'esperienza personale, l'unica per cui valga la pena di vivere e di morire. Per Kierkegaard l'incontro con Dio avviene soltanto nell'umiliazione dell'intelligenza, quando l'uomo, vinta ogni illusione di poter conoscere la verità con le sole proprie forze, vive rapito e assorto nel senso delle cose eterne e le testimonia accanto agli altri giorno dopo giorno. Il teologo danese espresse questa eccedenza di senso dell'esperienza religiosa soprattutto nelle sue opere poetiche e in brevi ma dense meditazioni religiose. L'influsso dei suoi scritti sul pensiero etico e soprattutto religioso del XIX e del XX secolo fu enorme. Con la sua franchezza evangelica egli criticò pensatori e pastori illustri del suo tempo, ridando respiro alla fede e alla cultura cristiane che rischiavano di arenarsi nelle secche del dogmatismo.

 

 

 

Sei entrato in chiesa perché vuoi pregare. Fermati e trova il tempo per riposarti e riprendere speranza con questa preghiera. Ogni settimana un testo diverso di autori di varie tradizioni per aiutarti a ritrovare il gusto della preghiera silenziosa. Perché, diceva Sant’Agostino: «nutre l’anima solo ciò che la rallegra».

 

Il cercatore di perle

Oh, se le anime potessero intravedere gli orizzonti di amore del Cuore adorabile di Gesù! Amare Gesù! Amare Gesù... Amore ca­sto, amore immacolato, amore divino! Dentro il cuore amante si alza come una brezza soave che rapisce l’anima e la fa quasi langui­re di tenerezza! Cosa cercano gli uomini se non la gioia? E quale gioia è più grande di quella che Gesù dona alle anime che lo ama­no! Come torna alla mente ricca di significato la parabola del cerca­tore di perle: la perla preziosa che ci rapisce l’animo nell’amore è il Cuore di Gesù: per questa perla merita davvero vendere ogni cosa.

Giorgio La Pira (1904-1977)
Lettere al Carmelo

 

Apriamo il mese di giugno, dedicato al Sacro Cuore di Gesù, con una testimonianza singolare, tratta dalle Lettere al Carmelo di Giorgio La Pira, rimpianto sindaco di Firenze (chiamato poi “il sindaco santo”), professore di Diritto, uomo politico e di pace negli anni della guerra fredda, padre della Assemblea Costituente, più volte eletto deputato e senatore, dichiarato Venerabile nel 2018 da Papa Francesco e ormai verso l’onore degli altari. Capace di dialogare con i grandi della Terra, umile testimone della povertà evangelica, visse per tanti anni in una fredda cella di un convento domenicano. Tra le sue iniziative più feconde, ci fu l’iniziativa di scrivere a tutti i monasteri di clausura d’Italia e del mondo per chiedere preghiere e sostegno spirituale per la società e le iniziative di pace che via via negli anni si organizzavano a Firenze.

Le parole sopra evocate rivelano l’incandescenza della fede di La Pira, il suo amore totale per Cristo, la sua capacità di comuni­carlo e di testimoniarlo. Nelle pagine della sua vita si compone lentamente la fisionomia mistica di La Pira, il suo amore per il Signore, il suo ane­lito per la pace tra i popoli, il suo desiderio di dialogo con ogni regione dello spirito e della cultura, della religione e della società senza barriere o preclusioni. È da lui che si riesce a imparare che la mistica non isola in un’aura sacrale, avvolta di incensi e brillan­te di ori, ma ci porta nelle strade, ci impolvera le vesti, ci fa di­ventare un seme deposto nella terra perché cresca e fruttifichi.

E ciò che La Pira diceva in modo folgorante, ricalcando le parole di Gesù: «Essere apostolo nel mondo senza essere del mondo e senza essere riconosciuti dal mondo». L’impegno nella storia non cancellava l’amore per il cuore di Cristo, le sofferenze che lo colpivano da parte di fratelli e lontani non infrangevano la pace e la gioia del suo cuore.

 

 

 


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