Sei entrato in chiesa perché vuoi pregare. Fermati e trova il tempo per riposarti e riprendere speranza con questa preghiera. Ogni settimana un testo diverso di autori di varie tradizioni per aiutarti a ritrovare il gusto della preghiera silenziosa. Perché, diceva Sant’Agostino: «nutre l’anima solo ciò che la rallegra».
SUPPLICA ALLO SPIRITO SANTO
Vieni, Spirito Santo, effondi su di noi la sorgente delle tue grazie
e suscita una nuova Pentecoste nella tua Chiesa!
Scendi sui tuoi vescovi, sui sacerdoti, sui religiosi e sulle religiose, sui fedeli e su coloro che non credono, sui peccatori più induriti e su ognuno di noi!
Scendi su tutti i popoli del mondo, su tutte le razze e su ogni classe e categoria di persone!
Scuotici con il tuo soffio divino, purificaci da ogni peccato
e liberaci da ogni inganno e da ogni male!
Infiammaci con il tuo fuoco, fa che bruciamo e ci consumiamo nel tuo amore!
Insegnaci a capire che Dio è tutto, tutta la nostra felicità e la nostra gioia e che solo in Lui è il nostro presente, il nostro futuro e la nostra eternità.
Vieni a noi, Spirito Santo e trasformaci, salvaci, riconciliaci, uniscici, consacraci!
Insegnaci ad essere totalmente di Cristo, totalmente tuoi, totalmente di Dio! Questo te lo chiediamo per l’intercessione e sotto la guida e la protezione della Beata Vergine Maria, la tua Sposa Immacolata, Madre di Gesù e Madre nostra, la Regina della Pace!
Amen.
Santa Elena Guerra (1835-1914)
Nella settimana in cui i nostri ragazzi riceveranno il dono dello Spirito Santo, preghiamo per loro attraverso l’intercessione di una grande santa, Elena Guerra, appena canonizzata da Papa Francesco lo scorso 20 ottobre. Scrittrice, teologa, apostola, santa, dice di lei il suo biografo padre Domenico Abbrescia. Ha studiato in casa italiano, francese, musica, pittura, ricamo e, di nascosto, anche latino. A 19 anni è infermiera tra gli ammalati di colera di Lucca e a 22 l’aggredisce un male che la terrà per quasi otto anni a letto. E lei studia i Padri della Chiesa, crea un gruppo di “Amicizie spirituali” tra le sue visitatrici, progetta forme di vita contemplativa.
Guarita, studia e viaggia: nel 1870 assiste in Roma a una seduta del concilio Vaticano I; e a Lucca, dopo prove e insuccessi, nasce infine per opera sua una comunità femminile, ma di vita attiva, dedita all’educazione delle ragazze e intitolata a santa Zita, patrona della città. E’ una comunità senza voti, un sodalizio di volontarie dell’insegnamento, pilotata da lei anche con gli scritti: i suoi agili “librini”, efficaci guide all’approfondimento della fede. Qui è accolta per qualche tempo, e fa la prima comunione nel 1887, la futura santa Gemma Galgani. Più tardi, l’istituto verrà riconosciuto dalla Chiesa come congregazione religiosa. Con la sua comunità, lei ha già problemi e anche conflitti. Ma ora decide pure di lanciarsi in un’impresa che va oltre la congregazione, oltre Lucca e l’Italia, per investire l’intera Chiesa. Ci ha pensato in segreto per anni e ora parte: bisogna ricondurre tutti i fedeli verso la conoscenza e l’amore per lo Spirito Santo, del quale Cristo ci ha detto: "Egli vi guiderà alla verità tutta intera" (Gv 16,13).
I cristiani sono troppo fiaccamente consapevoli della prospettiva gloriosa che ci attende col “rovescio di Babele” (come scriverà nel 1987 Severino Dianich), rinnovando l’evento della Pentecoste di Gerusalemme. È tempo di agire, e nessuno la ferma: scrive al papa Leone XIII, insiste, riscrive, andrà anche in udienza: chiede forti spinte per un “ritorno allo Spirito”, che nel secolo successivo sarà così vivacemente annunciato da movimenti e gruppi. Tre documenti pontifici, fra il 1895 e il 1902, invitano a operare per questo scopo, personalmente caro a Leone XIII; e il vecchio Papa dà alle suore di Elena il nome di Oblate dello Spirito Santo. Chiarissimo segno che è stata capita. L’hanno capita a Roma. Ma a Lucca, in casa sua, c’è chi le si mette contro: suore, figlie spirituali sue. E si arriva alle dimissioni di lei da Madre generale, ma con accompagnamento di inique umiliazioni. Elena sa accettare anche questo, sostenuta dalle consorelle fedeli e dalla sua limpida visione dell’esempio di amore che bisogna sempre saper offrire. È il suo momento più alto. E si chiude al mattino di un Sabato santo, subito dopo che lei ha indossato l’abito di Oblata dello Spirito Santo. Il suo corpo è sepolto a Lucca nella chiesa di Sant’Agostino. Nel 1959, papa Giovanni XXIII l’ha proclamata beata. Il 20 ottobre 2024 viene canonizzata da papa Francesco.
La data di culto indicata nel Martyrologium Romanum è l'11 aprile. Mentre nella diocesi di Lucca viene ricordata il 23 maggio.
Sei entrato in chiesa perché vuoi pregare. Fermati e trova il tempo per riposarti e riprendere speranza con questa preghiera. Ogni settimana un testo diverso di autori di varie tradizioni per aiutarti a ritrovare il gusto della preghiera silenziosa. Perché, diceva Sant’Agostino: «nutre l’anima solo ciò che la rallegra».
Nel giorno dei Santi
Signore, che sei nascosto con Cristo in Dio, avvolto nel Suo amore eterno, fedele e sempre nuovo, donaci il dono dello Spirito Santo che ci plasmi a immagine del tuo cuore. Rendici degni di essere parte della comunione dei santi, uniti nella preghiera e nella speranza, in questo giorno di Ognissanti.
Tu che ti sei fatto piccolo per lasciarti afferrare dalla sete della nostra conoscenza e del nostro amore, donaci di cercarti con desiderio, di credere in te nell'oscurità della fede, di aspettarti ancora nell'ardente speranza, di amarti nella libertà e nella gioia del cuore.
Rendici capaci di amare come ci hai amati, e guidaci verso la santità nella quotidianità delle nostre vite. Fa' che non ci lasciamo vincere dalla potenza delle tenebre, sedurre dallo scintillio di ciò che passa. Donaci perciò il tuo Spirito, che diventi egli stesso in noi desiderio e fede, speranza e umile amore.
Allora ti cercheremo, Signore, nella notte, vigileremo per te in ogni tempo, e i giorni della nostra vita mortale diventeranno come splendida aurora, in cui tu verrai, stella chiara del mattino, per essere finalmente per noi il sole, che non conosce tramonto. Uniamo le nostre preghiere per le anime dei defunti e per tutti i santi, chiedendoti la grazia di vivere ogni giorno in Te. Amen.
Mons. Bruno Forte, vescovo di Chieti (1949 -), preghiere
È un arcivescovo cattolico e teologo italiano. Il 18 aprile 1973 è ordinato presbitero dal cardinale Corrado Ursi per l'arcidiocesi di Napoli. Nel 1974 consegue il Dottorato in teologia presso la facoltà teologica di Napoli-Capodimonte; approfondisce gli studi a Tubinga e a Parigi, e nel 1977 si è laureato in filosofia presso l'Università di Napoli.
Autore di numerose pubblicazioni di teologia, filosofia e spiritualità, assai note anche a livello internazionale, è docente di teologia dogmatica presso la sezione San Tommaso della Pontificia facoltà teologica dell'Italia meridionale, di cui è decano per tre mandati; preside della Pontificia facoltà teologica dell'Italia meridionale per tre anni. Presiede la commissione preparatoria al documento Memoria e riconciliazione, che accompagna la giornata del Perdono di papa Giovanni Paolo II durante il Giubileo del 2000. Nel 2002 è nominato membro del consiglio scientifico dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il 26 giugno 2004 Papa Giovanni Paolo II lo nomina arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto. Riceve l'ordinazione episcopale l'8 settembre successivo, nella cattedrale di Napoli, dal cardinale Joseph Ratzinger (poi papa Benedetto XVI), coconsacranti il cardinale Michele Giordano e l'arcivescovo di Capua Luigi Diligenza, suo rettore in seminario e padre spirituale per molti anni. Prende possesso dell'arcidiocesi il 25 settembre.
È membro ordinario della Pontificia accademia di teologia, della Commissione teologica internazionale e della Pontificia accademia mariana internazionale; membro del Pontificio consiglio della cultura e consultore del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani.
Il 14 ottobre 2013 papa Francesco lo nomina segretario speciale della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, tenutasi dal 5 al 19 ottobre 2014 sul tema della famiglia. Il 21 novembre 2014 viene nominato segretario speciale anche della XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (4-25 ottobre 2015), sempre sul tema della famiglia. Il 18 gennaio 2016 i vescovi di Abruzzo e Molise lo eleggono presidente della Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana.
Sei entrato in chiesa perché vuoi pregare. Fermati e trova il tempo per riposarti e riprendere speranza con questa preghiera. Ogni settimana un testo diverso di autori di varie tradizioni per aiutarti a ritrovare il gusto della preghiera silenziosa. Perché, diceva Sant’Agostino: «nutre l’anima solo ciò che la rallegra».
Cercatori del tuo volto
A tutti i cercatori del tuo volto
mostrati, Signore;
a tutti i pellegrini dell’assoluto,
vieni incontro, Signore;
con quanti si mettono in cammino
e non sanno dove andare
cammina, Signore;
affiancati e cammina con tutti i disperati
sulle strade di Emmaus,
e non offenderti se essi non sanno
che sei tu ad andare con loro,
tu che li rendi inquieti
ed incendi i loro cuori;
non sanno che ti portano dentro:
con loro fermati poiché si fa sera
e la notte è buia e lunga, Signore.
David M. Turoldo (1916-1992)
preghiere
Il mese di ottobre è dedicato alla preghiera per le missioni e così presentiamo questa preghiera di Padre David Turoldo, nato in Friuli, a Coderno di Sedegliano in provincia di Udine, nono figlio di una povera famiglia di contadini, il 22 novembre 1916. Frate e sacerdote nell’Ordine dei Servi di Maria, visse presso il Convento di San Carlo al Corso in Milano gli anni della Resistenza e della ricostruzione civile. In quel contesto diede vita alla “Messa della Carità” e insieme all’amico e confratello Camillo de Piaz al centro culturale “Corsia dei Servi”.
Conosce anche l’allontanamento da Milano a causa delle sue posizioni di apertura, e l’esilio. Rientrato in Italia fu di comunità in vari conventi tra cui Firenze e Udine, presso la Madonna delle Grazie, dove scrisse sceneggiò e produsse il film “Gli ultimi” con la regia di Vito Pandolfi. Dal 1963 si trasferì a Fontanella, frazione di Sotto il Monte, ridando vita all’antica Abbazia di Sant’Egidio e al centro culturale ed ecumenico Casa di Emmaus.
Ancora oggi molti sono i visitatori e i frequentatori che salgono per attingere alla sua forte eredità spirituale e culturale. Sulla sua scia una comunità di frati Servi di Maria mantiene viva la presenza e le intuizioni.
Nel piccolo cimitero locale egli riposa sotto una semplice croce lignea, dopo la morte avvenuta a Milano il 6 febbraio 1992.
Scrittore, poeta, saggista, conferenziere, interviene nella vita culturale, sociale e religiosa del paese, con libri, articoli, interviste e seguitissimi interventi su radio e televisione, coinvolgente per la sua irruenza profetica e la visione esigente e alta dell’uomo, della società e della chiesa. Padre David Maria Turoldo fu soprattutto un cantore della Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse. Riprese in forma poetica il libro dei Salmi e trasse particolare ispirazione per alcuni testi poetici dal Cantico dei Cantici e dal libro di Qoelet. Collaborò poi con monsignor Gianfranco Ravasi, sacerdote della diocesi di Milano e in seguito cardinale, a volumi di commento alla Scrittura con testi poetici a commento delle letture bibliche della liturgia.
Quest’ultimo disse di lui che scopo e ragione d’essere della sua poesia è stato quello di far cantare la Parola divina, esterna a lui, donata, di cui la sua possente voce, da cattedrale o da deserto, era solo «conchiglia ripiena». Per usare la definizione che padre Turoldo diede di se stesso, «Servo e ministro sono della Parola».
Sei entrato in chiesa perché vuoi pregare. Fermati e trova il tempo per riposarti e riprendere speranza con questa preghiera. Ogni settimana un testo diverso di autori di varie tradizioni per aiutarti a ritrovare il gusto della preghiera silenziosa. Perché, diceva Sant’Agostino: «nutre l’anima solo ciò che la rallegra».
Signore insegnaci a non amare noi stessi
Signore insegnaci a non amare noi stessi,
a non amare soltanto i nostri,
a non amare soltanto quelli che amiamo.
Insegnaci a pensare agli altri,
ad amare quelli che nessuno ama.
Signore, facci soffrire della sofferenza altrui.
Facci la grazia di capire
che ad ogni istante ci sono
milioni di essere umani
che sono pure tuoi figli
e nostri fratelli
che muoiono di fame
senza aver meritato di morire di fame,
che muoiono di freddo
senza aver meritato di morire di freddo.
Signore,
abbi pietà di tutti i poveri del mondo
Abbi pietà dei lebbrosi,
ai quali Tu così spesso hai sorriso
quand'eri su questa terra;
pietà dei milioni di lebbrosi,
che tendono verso la tua misericordia
le mani senza dita,
le braccia senza mani...
E perdona a noi di averli,
per una irragionevole paura, abbandonati.
E non permettere più, Signore,
che noi viviamo felici da soli.
Facci sentire l'angoscia
della miseria universale,
e liberaci da noi stessi.
Così sia!
Raoul Follereau (1903-1977)
Una vita spesa per difendere i diritti dei malati di lebbra e dei diseredati di tutto il mondo e per denunciare l’egoismo e l’indifferenza della società dei consumi e dello spreco. Raoul Follereau nasce nel 1903 a Nevers (Francia) in una famiglia di ricchi industriali. Si laurea in diritto e filosofia. Cristiano cattolico, crede fermamente nel messaggio d’amore lasciato da Gesù. Fin da giovanissimo scrive poesie dedicate alla fratellanza e alla pace, contro la guerra, la miseria, l’ingiustizia sociale. A quindici anni conosce Madeleine Boudou, sua moglie, con la quale condivide per tutta la vita la sua missione a favore dei malati di lebbra. A diciassette anni pubblica il suo primo libro, diventato famosissimo (dieci milioni di copie tradotte in trentacinque lingue): Le livre d’amour (dal francese, “Il libro dell’amore”). Destinato a una brillante carriera come scrittore e giornalista, nel 1936 un viaggio in Africa nel deserto del Sahara cambia radicalmente la sua vita. Raoul deve realizzare un articolo sul missionario Charles de Foucauld. La sua jeep si ferma in un’oasi. Qui il reporter incontra un gruppo di lebbrosi cenciosi, terrorizzati, affamati, abbandonati da tutti. Il cronista non si lascia alle spalle quello che ha visto. Non ci riesce. Tornato in Francia deve fare i conti con lo scoppio della Seconda guerra mondiale (1939-1945). I suoi articoli tuonano contro il nazismo ed è costretto a nascondersi, ma non si ferma. Lancia delle campagne internazionali di sensibilizzazione rivolte ai potenti della Terra e all’umanità a favore dei lebbrosi: esseri umani imprigionati, esiliati, privati del cibo, dell’acqua, delle medicine, di ogni dignità umana. I titoli sono efficaci: “L’Ora ai Poveri” (offrire la paga di un’ora di lavoro all’anno ai lebbrosi), “Un Giorno di Guerra per la Pace” (devolvere il costo di un giorno di guerra per i poveri). “L’apostolo dei lebbrosi”, come viene chiamato, fa il giro del mondo trentadue volte. Visita 95 Paesi alla ricerca dei lebbrosi da aiutare e tiene 1200 conferenze, nonostante debba camminare con un bastone poiché soffre di reumatismi. Nel 1952 scrive all’ONU affinché i lebbrosari-prigione vengano trasformati in centri di cura. Negli anni Sessanta scrive ai presidenti dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti e chiede, invano, il corrispettivo di un giorno di guerra in Vietnam (conflitto armato durato vent’anni, dal 1955 al 1975) da devolvere per opere di pace o di rinunciare a un aereo bombardiere per curare i lebbrosi. Con i fondi raccolti durante le sue conferenze Raoul Follereau realizza un ospedale in Costa d’Avorio, nella città di Adzopé, dando vita all’attuale “Istituto Nazionale del Trattamento della Lebbra” e riesce a far curare e guarire circa un milione di lebbrosi in tutto il mondo. Scrive libri tra i quali Se Cristo domani…, La civiltà dei semafori, La sola verità è amarsi (Editrice Missionaria Italiana EMI). Le sue parole, soprattutto rivolte ai giovani, sono come macigni. Raoul Follereau muore a Parigi nel 1977. La sua opera di sensibilizzazione continua attraverso varie organizzazioni a lui intitolate. In Italia, a Bologna, è attiva la “AIFO-Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau”. Oggi in 150 nazioni, grazie a Follereau che l’ha ideata e all’ONU che l’ha lanciata la prima volta nel 1954, viene festeggiata “La Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra”, celebrata ogni ultima domenica di gennaio.
Sei entrato in chiesa perché vuoi pregare. Fermati e trova il tempo per riposarti e riprendere speranza con questa preghiera. Ogni settimana un testo diverso di autori di varie tradizioni per aiutarti a ritrovare il gusto della preghiera silenziosa. Perché, diceva Sant’Agostino: «nutre l’anima solo ciò che la rallegra».
Lodi a Dio Altissimo
Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende.
Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei l’Altissimo. Tu sei il Re onnipotente. Tu sei il Padre santo, Re del cielo e della terra.
Tu sei trino e uno, Signore Iddio degli dèi. Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene, Signore Iddio vivo e vero.
Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà. Tu sei pazienza. Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei la pace. Tu sei gaudio e letizia. Tu sei la nostra speranza. Tu sei giustizia. Tu sei temperanza. Tu sei ogni nostra ricchezza.
Tu sei bellezza. Tu sei mitezza. Tu sei il protettore. Tu sei il custode e il difensore nostro. Tu sei fortezza. Tu sei rifugio. Tu sei la nostra speranza.
Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza.
Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
San Francesco d’Assisi, (1182-1226) Lodi a Dio Altissimo
Fonti Francescane, 261
Dobbiamo lasciarci incantare da questa melodia delle Lodi di Dio Altissimo, sgorgate dal cuore di san Francesco dopo avere ricevuto le stimmate. Nel corso delle Lodi di Dio Altissimo le due parole Tu sei sono ripetute 32 volte come un ritornello intenso e penetrante. Francesco è davanti al suo Dio, lo contempla, e nella contemplazione percepisce l’abisso che si frappone tra la creatura e il Creatore. Scaturisce quindi un interrogativo che potrebbe definirsi doloroso, perché emergente dalla coscienza della propria indegnità: «Chi se' tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?”. Con la stigmatizzazione avviene un cambiamento. Conformato a Cristo e in Lui trasformato attraverso le stigmate, diventato alter Christus, Francesco fa la più pura conoscenza di Dio, ne sperimenta pienamente l’identità. Per cui la sua preghiera adesso diventa affermazione. In realtà l’interrogativo Chi sei tu… non esprimeva un dubbio o una problematica; era anch’esso una affermazione; un altro modo di proclamare la grandezza di Dio. L ’esclamazione “Tu sei” è confessione della fede, grido di ammirazione, invocazione fiduciosa. Il ritornello “Tu sei” ritma tutta la preghiera: dobbiamo fermarci su queste due piccolissime parole, dalle quali emerge quale è l’essenza della preghiera, in quanto capacità di entrare in rapporto con il Tu di Dio e di chiamarlo Padre. La preghiera è, essenzialmente, relazione. Nella preghiera, che è relazione, si riflette l’essere di Dio, la vita stessa di Dio. Francesco può rapportarsi in maniera diretta e intima con il Tu di Dio, perché ha superato la fase individualistica dell’Io-Esso. Francesco è il Povero; in lui non c’è alcuna forma di possesso egoistico, è la creatura totalmente espropriata, ha percorso il cammino dell’exitus a se (uscita da se stesso) per compiere il reditus ad Deum (il ritorno a Dio), abbandonandosi completamente nelle mani del Padre e consegnandosi totalmente a Lui: “d'ora in poi voglio dire: "Padre nostro, che sei nei cieli", non più "padre mio Pietro di Bernardone" (3Comp 20; FF 1419). Cosi Francesco perviene alla esperienza della identità di Dio, e al culmine di tale esperienza esclama di Dio: Tu sei … Non dice mai: Tu hai … No, ma Tu sei … Dio è l’Essere. In Francesco stigmatizzato c’è il contatto più immediato e completo con l’Essere, la partecipazione più intima all’Essere di Dio. Il Francesco della Verna è ormai una creatura trasfigurata, capace di penetrare nell’intimità di Dio e di realizzare con lui la forma più alta di dialogo: Io-Tu. Nelle Lodi di Dio altissimo il Tu sei … ripetuto più e più volte da Francesco è respiro e battito di amore. Questo è, infatti, la preghiera. Pregare non è altro che parlare a Dio con il cuore; non prega chi parla a Dio soltanto con la bocca. Più che di formulare parole è necessario illuminare la mente e infiammare il cuore.
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