(Gv 2,13-22) Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Dei nostri templi magnifici non resterà pietra su pietra, ma noi resteremo casa di Dio per sempre. Meglio che crollino tutte le chiese e i templi, piuttosto che cada un solo uomo.

Dedicazione della cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano, radice di comunione da un angolo all'altro della terra. Non celebriamo quindi un tempio di pietre, ma la casa di un Dio che per sua dimora ha scelto il libero vento, si è fatto dell'uomo la sua casa, della terra intera il suo cielo.

Nel Vangelo che ci viene proposto incontriamo il Gesù che non ti aspetti, con una frusta in mano. È il maestro appassionato, che usa gesti e parole di combattiva tenerezza, mai passivo e mai disamorato, che non si rassegna alle cose come stanno: lui combatte con noi far fiorire l'uomo e il mondo.

Probabilmente già un'ora dopo i mercanti, recuperate colombe e monete, avevano rioccupato le loro posizioni.

Tutto come prima, allora? No, il gesto di Gesù è arrivato fino a noi, profezia che scuote i custodi dei templi, e anche me, dal rischio di fare mercato della fede.

Gesù caccia i mercanti perché la fede è diventata oggetto di compravendita. I furbi la usano per guadagnarci, i pii per ingraziarsi il Potente: io ti do orazioni, tu mi dai grazie; io ti do sacrifici, tu mi dai salvezza.

Gesù caccia dal cortile gli animali dei sacrifici cruenti, anticipando il capovolgimento che porterà con la croce: Dio non chiede più sacrifici a noi, ma sacrifica se stesso per noi. Non pretende nulla, dona tutto.

Fuori i mercanti, allora. La Chiesa diventerà bella e santa non se accresce il patrimonio e i mezzi economici, ma se compie le due azioni di Gesù nel cortile del tempio: fuori i mercanti, dentro i poveri. Se si farà «Chiesa con il grembiule» (Tonino Bello).

Gesù ha molto amato il tempio di Gerusalemme, lo ha ammirato, si è indignato, ha anche pianto per la sua distruzione imminente. Lo ha chiamato «casa del Padre» e lo ha contestato: distruggete questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere.

Egli parlava del tempio del suo corpo. Il tempio di Dio siamo noi, è la carne dell'uomo. Tutto il resto è decorativo. Tempio santo di Dio è il povero, davanti al quale «dovremmo toglierci i calzari» come Mosè davanti al roveto ardente «perché è terra santa», dimora di Dio.

Dei nostri templi magnifici non resterà pietra su pietra, ma noi resteremo casa di Dio per sempre: c'è grazia e presenza di Dio in ogni creatura. Passiamo allora dalla grazia dei muri alla grazia e alla santità dei volti. Meglio che crollino tutte le chiese e i templi, piuttosto che cada un solo uomo.

Gesù non si rivolge ai custodi dei templi, ma a ciascuno: la casa ultima del Padre sei tu. Casa ingombra di pecore e buoi, di denari e di colombe che non lascia più trasparire Dio, ma incamminata a diventare di nuovo trasparenza e fessura di Dio. Che è ancora e sempre in viaggio: il misericordioso senza tempio cerca un tempio, il Dio che non ha casa la cerca proprio in me. Se lo accogliamo, solo allora tutto il mondo sarà cielo, cielo di un solo Dio.

Ermes Ronchi
qumran.net

 

 

(Lc 16,19-31) In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma". Ma Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi".
E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"».

 

C'era una volta un ricco... e un povero alla sua porta: inizio da favola antica. Il ricco è senza nome, il povero ha il nome dell'amico di Gesù, Lazzaro. Uno è vestito di piaghe, l'altro di porpora. Uno è sul tetto del mondo, l'altro è in fondo alla scala. I due protagonisti si incrociano ma non si incontrano, tra loro c'è un abisso.

È questo il mondo sognato da Dio per i suoi figli? Un Dio che non è mai nominato nella parabola, eppure è lì. Non abita i riflessi della porpora ma le piaghe di un povero; non c'è posto per lui dentro il palazzo.

Forse il ricco è perfino un devoto, osserva i dieci comandamenti, e prega: “o Dio tendi l'orecchio alla mia supplica”, mentre è sordo al lamento del povero. Lo scavalca ogni giorno come si fa con una pozzanghera.

Di fermarsi, di toccarlo neppure l'idea: il povero Lazzaro è invisibile, nient'altro che un'ombra fra i cani. Attenzione agli invisibili attorno a noi, vi si rifugia l'Eterno.

“Tra noi e voi è posto un grande abisso”, in terra come in cielo, dice Abramo. Il ricco poteva colmare il baratro che lo separava dal povero, e invece l'ha ratificato e reso eterno.

Che cosa scava grandi fossati tra noi, o innalza muri e ci separa?

Il ricco non ha fatto del male al povero, non lo ha aggredito o scacciato. Fa qualcosa di peggio: non lo fa esistere, lo riduce a un rifiuto, uno scarto, un nulla. Semplicemente Lazzaro non c'era, invisibile ai suoi pensieri. E lo uccideva ogni volta che lo scavalcava. Nessuno ha il diritto di ridurre a nulla l'altro. Il sangue del male, la linfa oscura è l'indifferenza, il lasciare intatto l'abisso fra le persone. Invece «il primo miracolo è accorgersi che l'altro esiste» (S. Weil), e provare a colmare l'abisso di ingiustizia che ci separa.

Nella seconda parte della parabola la scena si sposta dal tempo all'eternità. Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto negli inferi.

L'eternità inizia quaggiù, sarà la lenta maturazione delle nostre scelte senza cuore. Mente l'inferno è, in fondo, la dichiarazione che è possibile fallire la vita.

Perché il ricco è condannato? Per la ricchezza, i bei vestiti, la buona tavola? No, Dio non è moralista; a Dio stanno a cuore i suoi figli. Il peccato del ricco è l'abisso con Lazzaro, neppure un gesto, una briciola, una parola. Tre verbi sono assenti nella storia del ricco: vedere, fermarsi, toccare. Mancano, e tra le persone si scavano abissi, si innalzano muri.

Questo è il comportamento che san Giovanni chiama, senza giri di parole, omicidio: chi non ama è omicida (1 Gv 3,15).

Ma “figlio” è chiamato anche lui, nonostante l'inferno, anche lui figlio per sempre di un Abramo dalla dolcezza di madre: “Padre, una goccia d'acqua! Una parola sola per i miei cinque fratelli!”

E invece no, perché non è la morte che converte, ma la vita.

«Se stai pregando e un povero ha bisogno di te, lascia la preghiera e vai da lui. Il Dio che trovi è più sicuro del Dio che lasci (san Vincenzo de Paoli)».

Ermes Ronchi
qumran.net

 

 

(Gv 16,12-15) In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Trinità: un solo Dio in tre Persone. Dogma che non capisco, croce di tutti i teologi, eppure liberante, perché mi assicura che l'essenza di Dio vibra di un infinito movimento d'amore.

In principio a tutto sta la relazione. Solitudine è il primo male, perfino nel cielo: «neanche Dio può stare solo» (D. M. Turoldo), e la Trinità è la vittoria essenziale sulla solitudine, quella che, per bocca stessa di Dio, è il primo male del cosmo, anteriore al peccato originale: “non è bene che l'uomo sia solo”.

Un dogma, questo, che non cerca di far coincidere il Tre con l'Uno, ma è sorgente di sapienza del vivere: se Dio si realizza solo nella comunione, così sarà anche per noi. Il Creatore aveva detto “Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza”. Nostra: non a immagine del Padre, non a immagine dello Spirito e neppure del Verbo. Molto di più: a immagine della Trinità, a somiglianza di un legame d'amore, come icona di comunità.

In principio alla Trinità sta il legame. Vivere è convivere, esistere è coesistere. Allora capisco perché quando sono con chi mi vuole bene, quando sono accolto e a mia volta so accogliere, sto così bene, così in pace: perché realizzo la mia umana e divina vocazione.

Perfino i nomi che Gesù sceglie per dire il volto di Dio sono nomi che stringono legami: Padre e Figlio indicano relazioni salde come il sangue, potenti come la generazione.

Per raccontare la Trinità non ci sono parole migliori dei tre linguaggi delle letture di oggi: la poesia, il cuore pieno, la ricerca.

La poesia del libro dei Proverbi: parlare di Dio attraverso l'origine delle cose. Non il Dio dei trattati, ma quello gioioso che moltiplica vita, crea bellezza e armonia, che gioca sul globo terrestre e la sua gioia è stare tra i figli dell'uomo (Proverbi 8,31).

Poi il "cuore pieno" di Paolo, passione e speranza che non delude. A noi abituati a interpretare tutto in chiave di degrado, di impoverimento, di sospetto, Paolo racconta di un Dio che riempie il cuore: «l'amore è stato riversato - illimitato e inarrestabile - nei vostri cuori», e riempie, tracima, dilaga. Il nostro male è che siamo immersi in un oceano d'amore e non ce ne rendiamo conto (G. Vannucci).

Infine Gesù: che è la piena rivelazione e insieme la ricerca inesausta, sempre incompiuta, che promette un lungo corroborante cammino, con un suggeritore meraviglioso che è lo Spirito.

I verbi per dire lo Spirito Santo sono tutti al futuro: verrà, annuncerà, guiderà, prenderà..., sono parole in cammino, che aprono strade. Lo Spirito non sopporta recinti, nemmeno di parole sacre.

Noi credenti, nati dal respiro di Dio come Adamo, apparteniamo a un sistema aperto, che avanza. Tutto circola nell'universo, tutto avanza e canta con la soavità propria di ciascuno, inconfondibile e ammaliante: pianeti e astri, sangue, fiumi, vento e uccelli migratori. Vita che, se si ferma, si ammala e si spegne.

Ermes Ronchi
www.qumran.net

 

 

(Lc 10,1-12.17-20) In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città». I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

 

I settantadue vanno, più piccoli dei piccoli, più poveri di un povero. Li ha messi sulla strada che è di tutti, che non si ferma mai e ti porta via. Vanno, profeti del sogno di Dio: quello di un mondo finalmente in pace.

Le nostre comunità vivono una stagione di stanchezze e di sconcerto per i numeri che calano.

Gesù no, lui custodiva e incoraggiava quel germoglio nascente: designò altri 72 e li inviò.

È il cristianesimo ad essere in crisi? No, è in crisi un certo modo di intendere il cristianesimo.

Ricominciamo dal vangelo:

1. La prima parola oggi: la messe è molta, ma sono pochi quelli che vi lavorano. Lo sguardo di Gesù vede gente bella e dal cuore aperto. Persone che si prodigano ovunque senza rumore, guardando dritto.

Ma gli operai sono pochi... forse abbiamo capito male. Non è il numero il problema, il numero è un criterio anti-evangelico; la vera domanda è se noi lavoriamo a questa messe o se stiamo alla finestra a guardare.

Siamo noi quei settantadue inviati. Tutti. Laici, frati, donne e uomini; ma siamo capaci di dire Dio? Di dire pace? In casa mia, nel lavoro, con i miei amici o in famiglia, nelle associazioni?

Gesù non dà i dettagli dell'anno catechistico o a che orari mettere le messe; lui ci dice l'essenziale, ci indica la consegna amorosa e contagiosa del vangelo, dove la passione è la grande assente.

2. A due a due; neanche il parroco o il priore fa da solo; ha bisogno dell'altro come stimolo e come limite.

A due a due, un bastone cui appoggiare la stanchezza e un amico su cui appoggiare il cuore.

Il numero due non indica la somma di uno più uno, ma è l'inizio della comunione, l'avvio della comunità e del cerchio grande, filo doppio che non si spezza.

3. Le parole che affida ai discepoli sono semplici e poche: pace a questa casa, Dio è vicino. Parole dirette.

Non si tratta di una pace generica, ma pace a questa casa, a questa tavola, a questi volti. Pace è una parola da riempire di gesti, di muri da abbattere, di perdoni chiesti e donati, di fiducia concessa di nuovo, di ascolti e abbracci. Ripudiate l'odio. Amatevi, altrimenti vi distruggerete. È tutto qui il vangelo.

4. Vi mando come agnelli fra i lupi. Senza zanne o artigli, ma non allo sbaraglio, bensì a mostrare il mondo in altra luce. Vi mando come presenza disarmata, ad opporvi al male con un "di più" di bontà.

5. Vi mando senza, senza, senza.

Non è l'abbondanza dei mezzi a rendere efficace l'annuncio. Non sei un buon parroco perché hai tanti soldi, neanche un buon padre di famiglia per tanto denaro, ma perché sei credibile, come credente o come padre.

6 Non salutate nessuno per strada, che non vuol dire: girate a muso duro fra la gente. Non disperdetevi, dice Gesù, restate concentrati sulla missione, andate diritti al vostro scopo.

I settantadue vanno, più piccoli dei piccoli, più poveri di un povero. Li ha messi sulla strada che è di tutti, che non si ferma mai e ti porta via.

Vanno, profeti del sogno di Dio: quello di un mondo finalmente in pace. Un sogno in cui dobbiamo credere ancora, nonostante tutte le smentite.

 Ermes Ronchi
www.qumran.net

 

 

(Gv 21,1-19) In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

I sette discepoli sono tornati là dove tutto aveva avuto inizio, al loro mestiere di prima, alle parole di sempre: vado a pescare, veniamo anche noi.

L'ultimo incontro con il Risorto avviene nella normalità del quotidiano. L'infinito scende alla latitudine di casa. Il cerchio delle azioni di tutti i giorni è il luogo dove incontrare colui che se n'è andato dai recinti del sacro e abita il “profano”: l'infinito è nella vita, e la vita è infinita.

L'abbandonato ritorna da coloro che sanno solo abbandonare, e invece di chiedere loro di inginocchiarsi, è lui che si inginocchia davanti al fuoco di brace, come una madre che si mette a preparare il cibo per i suoi di casa, come un amico. È il suo stile: tenerezza, umiltà, cura. Amici, vi chiamo, non servi.

E chiede: portate un po' del pesce che avete preso! Così il pesce di Gesù e il tuo finiscono insieme, e non li distingui più.

In questo clima di amicizia e semplicità, seduti all'alba attorno a poche braci, il dialogo sublime tra Gesù e Pietro.

Gesù, maestro di umanità, usa il linguaggio più semplice, pone domande risuonate sulla terra infinite volte, sotto tutti i cieli, in bocca a tutti gli innamorati che non si stancano di sapere: mi ami? Mi vuoi bene?

Semplicità estrema di parole che non bastano mai, perché la vita ne ha fame; di domande e risposte che anche un bambino capisce perché è quello che si sente dire dalla mamma tutti i giorni.

Il linguaggio del sacro diventa il linguaggio delle radici profonde della vita. La vera religione non è mai separata dalla vita.

E sono tre domande, sempre uguali, sempre diverse:

1 - Simone di Giovanni, mi ami più di tutti? Pietro risponde con un altro verbo, quello più umile, più nostro, verbo dell'amicizia e dell'affetto: ti voglio bene. E non si misura con gli altri.

2 - Seconda domanda: Simone di Giovanni, tu mi ami? Pietro mantiene il profilo basso di chi conosce bene il cuore dell'uomo, e risponde ancora con quel nostro verbo così umano: ti sono amico.

3 - Nella terza domanda succede qualcosa di straordinario. Gesù adotta il verbo di Pietro, si abbassa, si avvicina, lo raggiunge là dov'è: Simone, mi vuoi bene? Dammi affetto, se l'amore è troppo; amicizia, se l'amore ti mette paura. Pietro, un po' d'amicizia posso averla da te? E mi basterà, perché io cerco la sincerità del cuore.

Gesù rallenta il passo sul ritmo del nostro, la misura di Pietro diventa più importante delle sue esigenze; così è l'amore vero, che mette il tu prima dell'io. Pietro sente il pianto salirgli in gola: vede Dio mendicante d'amore, Dio delle briciole, cui basta così poco, solo la verità di un cuore sincero.

E credo che nell'ultimo giorno, anche se per mille volte l'avrò deluso o tradito, il Signore per mille volte mi chiederà come a Simone:
Mi vuoi bene?

E io non dovrò fare altro che rispondere, per mille volte, solo questo:
Sì, ti voglio bene!

Ermes Ronchi
www.qumran2.net/

 

 


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«La pace sia con tutti voi!...
Vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, a tutte le persone, ovunque siano, a tutti i popoli, a tutta la terra... Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà! Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti»
(Papa Leone XIV, 8 maggio 2025)

 

 

  • Editoriale

    • La festa dei santi

      La festa dei santiSiamo nati per essere felici. A tutto si può rinunciare tranne che alla felicità. In caso contrario non vale la pena vivere. Per questo la vita è una continua ricerca. Solitamente si parla di piena realizzazione di se stessi ma il nocciolo del problema è quello di cercare continuamente finche non si trova la soddisfazione dei nostri desideri  a cui corrisponde la felicità. La vita è affannosa ricerca,...

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Evento

per tutto il mese di novembre
nei giorni feriali
MESSA PER I DEFUNTI
secondo le strade del nostro quartiere
leggi negli Avvisi
l'elenco delle strade di questa settimana

 

Avvisi della Settimana

lunedì 3 novembre ore 18.00
riprendono gli incontri di lettura e riflessione
sulla liturgia della Parola della domenica

 

Cari parrocchiani, nel mese di novembre vi invitiamo a partecipare alla S. Messa delle ore 8,30 e 19.00,
che saranno celebrate in ricordo dei defunti delle famiglie
della Parrocchia, distribuite via per via.

Ecco il calendario delle intenzioni della settimana:

lunedì 10: Via C.Bofondi-Via C.Gennari-Via E.Albornoz
martedì 11: Via Aurelia dal n.336 al n.386-Via C.Mistrangelo
mercoledì 12: Via Aurelia dal n.253 al n.391
giovedì 13: Via Paolo Bentivoglio
venerdì 14: Via Aurelia dal n. 294 al n.306
sabato: Via S. Pio V-Via Filippo M.Pirelli

 

 

 

 

 

 

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Cochin (India) il Rev.do Sac. Antony Kattiparambil, della medesima Diocesi, finora Vicario Giudiziale, Vicario Episcopale per i religiosi e Parroco della St. Joseph Church.

S.E. Mons. Antony Kattiparambil è nato il 14 ottobre 1970 a Mundamveli, nella Diocesi di Cochin, India. Ha studiato Filosofia presso il St Joseph’s Pontifical Seminary a Alwaye e ottenuto la Licenza in Teologia Biblica presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma.

È stato ordinato sacerdote il 15 agosto 1998 per la Diocesi di Cochin.

Ha ricoperto i seguenti incarichi e svolto ulteriori studi: Licenza in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma; Vice-Parroco della Santa Cruz Cathedral Basilica a Fort Cochin (1998-2002); Vice-Parroco della St. Sebastian a Thoppumpady (2002-2003); Assistente pastorale presso la Parrocchia di San Francesco di Prato, Italia (2003-2005); Amministratore Parrocchiale della St. Joseph’s a Kumbalanghi (2005-2010); Assistente Pastorale presso la Parrocchia dei Santi Sisinio, Martirio e Alessandro a Brivio, Milano, Italia (2010-2013); Assistente Pastorale presso la Parrocchia di San Pio V a Roma (2013-2016); Parroco della St. Martin a Kallanchery (2016-2021).

 

 

 

 

 

 

catechismo 2025-2026 

Iscrizioni
Da lunedì 8 settembre a venerdì 26 settembre
Le iscrizioni al I e II anno di Comunione e Cresima si svolgono
ogni giorno (dal lunedì al venerdì)
in segreteria dalle 17 alle 19.
Chi ha frequentato il primo anno deve iscriversi di nuovo.

 

Giorni degli incontri di catechismo
Per gli incontri della Comunione
i giorni da scegliere sono il lunedì o il martedì dalle 16,45 alle 18.
Per la Cresima il venerdì dalle 18 alle 19.
Per chi ha frequentato il primo anno, il giorno rimane invariato.

 

Inizio del catechismo
Il giorno d’inizio del catechismo di Comunione sarà il 6 e 7 ottobre;
il 10 ottobre per le Cresime.

 

 

 

   

 

 

 

 

 

 

  


qui il video completo della liturgia e l'omelia di Papa Francesco

qui per vedere e ordinare le foto