
Cari amici, è una delle scene più belle della mattina di Pasqua. Il Vangelo di Matteo ce la descrive negli atteggiamenti dei due gruppi al sepolcro di Gesù: le guardie, le donne e in mezzo l’angelo.
I soldati sorvegliano un sepolcro dove non c’è più nessuno, impauriti di perdere quel corpo, spaventati e tramortiti dal terremoto.
Le donne hanno a che fare con l’apparizione dell’angelo, Gesù è già andato via. C’è solo da imparare a diventare angeli, cioè messaggeri, annunciatori di una lieta notizia di bene. Imparano in fretta ma con «timore e gioia grande».
L’angelo rotola la pietra. Non apre il sepolcro per fare uscire Gesù.
Lui è già fuori, è già risorto. Se compie questo sforzo è per poter parlare alle donne, per spiegare loro ciò che è accaduto: «Venite, vedete dove era deposto».
La pietra che rimuove non è solo la lastra tombale, ma è anche il macigno di sconforto che chiude il loro spirito rattristato, che le rende incapaci di accogliere qualunque notizia di bene.
È un angelo che toglie un po’ di peso alla vita, che la rende lieve.
Penso a tutti coloro che si portano una pietra sul cuore, e come l’angelo della Pasqua mi piacerebbe avere la forza di rotolarla via, di aprire un varco verso la gioia, di creare lo spazio per una sorprendente notizia di bene.
E su questo masso sarebbe bello sedersi, come fa l’angelo.
Gli studiosi della Scrittura spiegano che è un segno di sovranità sulla morte e sul male.
Mi dico che sarà pure un angelo, ma avrà fatto fatica a spostare quel masso così pesante.
Mi fa piacere che si riposi, e che mi insegni a tirare il fiato, a non correre sempre, a cercare attimi di sosta in cui mi fermo e mi guardo intorno, senza l’affanno di dover fare troppo, senza l’angoscia di non aver fatto abbastanza.
È stando seduto, mentre si riposa, che l’angelo dice le parole decisive della storia del mondo: l’annuncio della risurrezione di Cristo.
Come a dire che le notizie più importanti si raccontano anche stando seduti, nella forma familiare di chi condivide un pasto, un incontro, un istante di pace e di quiete, e non solo dall’alto di una cattedra o di un pulpito.
Le possiamo e le dobbiamo dire rilassati, pacificati, senza agitazione, anche quando sono notizie che ci riempiono il cuore di evangelica premura, che ci invitano a partire perché Lui «ci precede in Galilea».
L’angelo si rivolge soltanto alle donne, perché non è venuto ad abbaiare urla di rimprovero ai soldati, ai cattivi, ma a cantare buone notizie ai semplici, è venuto a portare parole di bene, non a minacciare castighi, a proclamare la forza del Dio della vita, non a promettere punizioni e stragi.
E non spreca il fiato per indignarsi, non alza i toni per prendersi una rivincita su chi ha voluto male al Signore. A cosa serve, quando è così bello gridare che è risorto, anche per chi l’ha tradito, anche per chi l’ha ucciso?
Ecco cosa può fare un angelo. Può guardare con affetto un dolore, può togliere qualche peso alla vita, può insegnare a rallentare e fermarsi.
Può dire con semplicità parole che aprono il cuore: le parole della fede, l’annuncio che Cristo è risorto, che la morte è vinta per sempre. E, davanti alla resurrezione, anche noi possiamo essere donne o guardie, o angeli.
Come le donne: discepoli che amano il Maestro, lo seguono, lo individuano nelle pieghe della propria vita, della storia. Discepoli fragili e incapaci di togliere le tante pietre che chiudono il sepolcro. Pietre interiori, drammi del passato, errori commessi. Tutto ciò che ci impedisce di vivere da risorti.
Come le guardie: pagate per mentire, per sconfessare l'evidenza, per non avere guai. Per loro la resurrezione è un inciampo, un problema. Questa scelta la dobbiamo fare anche noi. Custodi imbronciati e scostanti di un sepolcro vuoto o messaggeri di vita. Con il timore di perdere o di perdersi o con la voglia di ricominciare.
E perché non provare anche noi ad essere angeli? Aiutare chi entra nelle nostre case o in chiesa a trovare non un sepolcro triste ma un giardino fiorito. “Persone medicina”, come ha scritto un poeta, che quando le incontri ti guariscono. Forse siamo già in tanti a provarci.
Con il cuore, Buona Pasqua!
Don Donato
Pasqua 2023

Caro fratello, cara sorella,
mi ha colpito, giorni fa, il titolo di un’intervista a papa Francesco: “il Natale che vorrei”. È vero anche per noi, cittadini smaliziati di questa epoca che ormai pensa di aver visto di tutto. Arriviamo a Natale sempre pieni di desideri e di sogni. Anche se rifiutiamo l’idea di dover essere buoni a comando, il Natale ci invita a sognare un mondo migliore per tutti.
Anche Maria e Giuseppe sognavano il momento in cui sarebbe nato il loro bambino, in un bel luogo, al caldo, circondati da persone a cui volevano bene. Maria aveva preparato le fasce per avvolgere e proteggere il corpo di Gesù, come si proteggono le cose più preziose che abbiamo. La storia è andata in un altro modo. Giuseppe e Maria si sono ritrovati lontani da casa, dai parenti e dagli amici. Non poteva andare peggio! Eppure questo dramma diventa gioia che scalda il cuore, e questa piccola famiglia scopre quanto è straordinaria la cosa più semplice del mondo. Un bambino è nato. Adesso c’è Gesù, il loro piccolo, e questo basta per trovare serenità e pace. La gioia del Natale è così: non la scopriamo perché ogni cosa è al suo posto. Non la troviamo perché tutti i nostri sogni e desideri si sono realizzati. La gioia del Natale è più semplice: è un bimbo che nasce. È una gioia serena, immediata, ma forse per questo molto difficile da cogliere. Non ci appartiene subito, non è merito dei nostri sforzi o del nostro impegno. È una gioia che ci viene donata proprio quando sembra che tutto stia andando male. Maria e Giuseppe la comprendono tutta, e subito dedicano attenzione e cura al piccolo Gesù. Non se la prendono con il mondo o con il buon Dio perché non li hanno aiutati. Adesso c’è Gesù, e questo basta per trovare serenità e pace. “La forza della vita che ti trascinerà con sé, che sussurra intenerita: guarda quanta vita c’è”, diceva una canzone qualche anno fa.
Forse la nostra vita, il mondo, continueranno come prima. Forse i nostri sogni rimarranno tali, ma da Natale una cosa è cambiata: Dio è nato qui, sulla terra e ora è con noi. La cosa più semplice appare la cosa più straordinaria.
Per vedere la gloria di Dio bisogna guardarlo a Natale. Umile, disponibile, interamente dono. Ma se capisco che Dio si è fatto carne, allora capisco la mia. Il mio valore, la mia dignità. La sacralità di ogni vita. Non è vero che Dio odia la vita umana, che non ci deve essere gioia in questo mondo, come vogliono farci credere le dittature, soprattutto quelle che si appellano a Dio, le più crudeli.
In questo tempo il Signore ci riconsegna la nostra carne, le nostre stanchezze e le nostre paure, ma con dentro la luce di una presenza, la gloria di Dio che si rende visibile: una carne abitata da Dio. Non smettere di sperare per il tuo futuro e quello dei tuoi figli, del mondo, dice Dio. Perchè ci sono anch’io in questo mondo, perché non abbandono questa terra che amo, e continuerò a lottare contro il male con la forza di chi dona la vita.
Buon Natale con il cuore
don Donato

Cari fratelli, care sorelle,
condivido con voi la sensazione che questo tempo che viviamo sia un lungo sabato santo, in cui, come ci raccontano i Vangeli, una tomba ha rinchiuso ogni cosa, ogni speranza, ogni senso alla vita.
A volte, perfino le cose più belle, gli affetti, i sogni, la fede, vacillano di fronte alle immagini di morte e distruzione.
Ci sembra che Gesù ci sia strappato dalle mani e dal cuore, dalle potenze oscure del mondo, dalle forze occulte del male.
Ma non solo: a volte chi ci porta via Gesù lo fa nel nome di Dio! Sommo scandalo sempre vero. Gli uomini religiosi che si mettono a concorrere con i potenti del mondo, che fanno della religione una ortodossia che esclude, che parlano di guerra. E come le donne la mattina di Pasqua, non troviamo più Gesù e non sappiamo più in cosa credere; ci sembra che una religione senza amore non sia nulla, non sia più la speranza che infonde fiducia a chi è solo, la presenza misericordiosa di Gesù che salva chiunque lo cerca con cuore sincero. E cerchiamo attorno a noi se qualcuno può indicarci dove trovarlo ancora, dove trovare parole vive che ci facciano riascoltare la sua voce, il suo perdono, la sua misericordia.
Eppure in questa notte, il cammino delle donne al sepolcro non è solo segnato da una perdita e da un vuoto. In questo silenzio abita un presagio che neppure loro sanno comprendere. Il legame con Gesù è un amore che rinasce, una vita che risorge. E mentre gli uomini disperano per i legami perduti, e mentre anche il Signore tace nel silenzio del sepolcro, il Padre è all'opera. La vita rinasce quando è interamente consegnata, l'amore che si fa dono senza riserve è più forte della morte. Io posso perdere il mio Signore, ma lui non perde me! Lui mi viene di nuovo incontro, e la fede ritrova parole che riaprono il cuore alla grazia. Quella vita consegnata, che si perde per amore mio, non mi abbandona, non mi dimentica, mi aspetta in Galilea, mi chiede di tornare a credere per le strade del mondo.
E io torno ad avere fiducia, perché la Pasqua è l’annuncio di una sorgente di grazia che rinasce e si rinnova dopo ogni morte e ogni perdita. Diventa principio di vita nuova, di rinnovata confidenza, che sgorga ancora in una umanità provata. Le prove spogliano la mia vita di ogni appoggio umano, ma in questo vuoto sgorga una parola di vita, una promessa di consolazione e di speranza.
Credere è per me ritrovare questa sorgente di vita, questo legame con Gesù che nulla potrà spezzare. Gesù rimane davanti a me, ogni giorno, come il Risorto che mi cerca e che posso sempre ritrovare.
E io posso cantare con Paolo: «Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? [...] Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 6,35-38).
Tanti auguri con il cuore
don Donato
Pasqua 2022

È appena terminato il pellegrinaggio a Lourdes della diocesi di Roma. Con un gruppo di parrocchiani e fedeli abbiamo condiviso pensieri, sensazioni, momenti di preghiera indimenticabili.
Via via che passavano le ore ho scritto ricordi e idee che sono parte della ricchezza di questi giorni, e spero possano servire come certezza della presenza di Maria nella nostra vita.
Molto mi è stato donato a Lourdes.
Maria e Bernadette mi hanno avvicinato al cuore puro e innocente di Gesù.
Se ci sono cose da ricordare, esse vengono dallo Spirito di Gesù in me.
Devo lasciare che l’acqua della purificazione lavi i miei vecchi modi di vedere le cose.
Molti schemi ormai logori, già sperimentati, “triti e ritriti” spero di metterli da parte.
Al ritorno mi sono sentito meno teso, meno inquieto, meno preoccupato.
È stato un bene andare tante volte a Lourdes, un bene “perdere tempo” e stare là, semplicemente.
Al ritorno ho guardato fuori dal pullman, che scorre veloce per le dolci campagne francesi, verso l’aeroporto.
Non ho progetti nuovi, non ho grandi idee nuove, non ho alcuna visione del futuro, ho solamente il desiderio di restare dentro di me vicino a quel luogo, nel quale posso udire la voce che mi dice: “figlio mio, mio amato”, e che mi dirà cosa fare, cosa dire, quando sarà il momento.
La grotta silenziosa, l’acqua della fonte, la luce delle fiaccole, la figura di Bernadette, la sua semplicità e innocenza, sono segni di speranza che mi invitano a restare sempre disponibile, pronto a ricevere da Gesù la purezza, la semplicità e l’innocenza che desidero.
Non sono solo. Gesù abita dentro di me. Con il suo amore io posso amare e dare me stesso agli altri. Con i suoi occhi io posso vedere il volto di Dio; con le sue orecchie posso udire la voce di Dio; con il suo cuore posso parlare al cuore di Dio.
So che, da solo, non posso vedere, udire o toccare Dio nel mondo. Ma Dio in me, il Cristo che vive in me, può vedere, udire e toccare Dio nel mondo, e tutto ciò che c’è di Cristo in me è totalmente mio. La sua semplicità, la sua purezza, la sua innocenza sono totalmente mie perché mi sono date affinché io le proclami come ciò che di più personale possiedo.
Tutto l’amore che c’è in me è un dono di Gesù, e tuttavia ogni gesto d’amore che sono capace di compiere sarà riconosciuto come esclusivamente mio. Questo è il paradosso della grazia. Il dono totale della grazia porta con sé il dono totale della libertà. Bernadette non ha scelto di vedere Maria, ma ha deciso liberamente di tornare a quella grotta e ha deciso da sola il suo futuro, ben determinata e convinta, senza curarsi della manipolazioni della gente.
Al ritorno a Roma mi accorgo che tutto quello che ho imparato lo sapevo già. Ma tutto quello che ho imparato è anche nuovo.
La mia sola speranza è quella di far sì che Gesù diventi più pienamente il centro della mia vita, il cuore del mio cuore.
Lui c’è sempre, ma la sua presenza è discreta, silenziosa, nascosta. E tuttavia egli è qui ora come se non ci fosse mai stato. È sempre lo stesso e mai lo stesso, sempre assente, sempre presente, sempre cercato, sempre trovato.
Questo è l’amore di Dio. Maria e Bernadette lo sapevano. A Lourdes ho potuto di nuovo percepirlo.
Maria ci richiama al luogo nel quale più desidero essere: nel cuore di Dio, che è anche il cuore del mondo. E so che tutto è già in salvo, custodito nell’abbraccio divino che abbraccia anche me.
Don Donato

Caro fratello, cara sorella,
se qualcuno ti chiedesse: “chi è Dio? Come ci si avvicina a Lui?”, tu non potresti indicare anzitutto il cielo ma questo Bambino che nasce a Betlemme.
Questa è la grande novità del cristianesimo. Se dobbiamo cercare Dio non basta alzare gli occhi al cielo e neanche guardare dentro di sé. Due cose importanti ma non sufficienti.
Impariamo tante cose su Dio soltanto guardando il Bambino. Scopriamo come abita il mondo.
Il suo sorriso dice che Dio è felice ed è contento di questo mondo, non lo abita con un senso di fastidio o di estraneità. Ha avuto bisogno dell’abbraccio di sua madre e di suo papà.
Certo avrà anche pianto. Perché nascere è entrare in contatto anche con il dolore. Perché se ami sai anche che soffrirai per amore. E c’è un legame stretto tra il Natale e la Passione. Perché in realtà c’è un unico mistero che è Gesù. Il modo in cui Gesù abita il mondo e lo prende su di sé è lo stesso nella culla e sulla croce. Non è sempre facile vedere la continuità perché il Natale ci sembra un mistero di tenerezza, mentre la Passione un mistero di violenza. In realtà è la stessa cosa perché è la fedeltà di Gesù che lo porta fino alla Passione. Che poi è l’unico modo per superarlo: entrarci dentro. E non diventare mai come chi ci ferisce.
Gesù ha preso sul serio l’umano, lo ha vissuto in quella scansione che i Vangeli ci ricordano: 30 anni di vita ordinaria, normale, nel lavoro, nei rapporti sociali, in famiglia. 3 anni di predicazione pubblica, 3 giorni di Passione. In questo scorrere del tempo ha imparato a parlare la lingua del suo popolo, a pensare e a guardare le cose, le persone, a offrire la vita. In quello sguardo non troviamo la forza di chi confida in se stesso ma la potenza della tenerezza di chi si affida. E la tenerezza è capace di smuovere le montagne, di disarmare anche gli uomini più duri. Certo è una forza che rischia, perché si espone; questo è il mistero della Passione, l’altro lato della tenerezza.
Lo sguardo di Gesù sul mondo è lo sguardo di un bambino stupito e meravigliato, è lo sguardo del crocifisso che invoca perdono. Di chi vede il bene senza lasciarsi accecare dal male. Da lui impariamo come guardare il mondo e attraversarlo. Perchè se vediamo solo il brutto, rischiamo di vedere qualcosa di noi e non della realtà.
La nascita di Gesù è un fatto che abita il mondo come benedizione che, di generazione in generazione arriva fino a noi. Gesù è dentro questo fiume di vita e di grazia che accade veramente, non una favola. Da una vita ad un’altra. La tua, la mia. Che non smettono di generare.
Ti auguro di pensare con stupore e gratitudine, in questi giorni, quanto bene Dio fa passare attraverso di te.
Con il cuore buon Natale
don Donato
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perché il Risorto rimane in eterno il Crocifisso;
essa rivela piuttosto la pienezza di quella vitalità, di quell’amore assoluto,
di quell’affetto sconfinato e tenerissimo che ha pervaso la vita terrena di Gesù
e si è espressa appunto nella morte di croce.
(Carlo Maria Martini)
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